Poggi: "Il tifoso dopo tre fallimenti deve ritrovare stimoli, noi vogliamo riavvicinare la squadra alla gente"

28.10.2018 12:30 di  Davide Marchiol   vedi letture
Poggi: "Il tifoso dopo tre fallimenti deve ritrovare stimoli, noi vogliamo riavvicinare la squadra alla gente"
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© foto di Luca Marchesini/TuttoLegaPro.com

In esclusiva per Gianlucadimarzio.com, Paolo Poggi ha rilasciato una lunga intervista, ripercorrendo un po' tutta la sua carriera nel mondo del calcio “Ho cominciato a giocare al Venezia in un periodo di grande fermento, fortunato. Prima la fusione con il Mestre, poi la doppia promozione dalla C2 alla B. Ancora oggi, in giro per Venezia si può ancora trovare qualche saracinesca con su scritto ‘Mitico Bosaglia’", il portiere che parando un rigore nei minuti finali di Venezia-Como (16 giugno 1991, la Serie B in palio), ha fatto la storia arancioneroverde.

Zaccheroni il tecnico che lo ha reso il giocatore che tutti conosciamo: “Sapeva esattamente cosa farmi fare, come, quando. Da calciatore è difficile avere un livello autocritico molto alto. Con gli anni mi sono reso conto che ogni singola scelta che aveva fatto nei miei confronti era azzeccata. Due promozioni con il Venezia e Coppa Italia con il Torino alla mia prima stagione in Serie A: a 22 anni cominciavo a pensare che vincere fosse veramente facile. Ovviamente non era così, dovevo stare attento a non bruciare le tappe. Quindi Udine: con uno squadrone appena retrocesso in Serie B abbiamo centrato subito la promozione. E poi ci siamo divertiti.”

Una carriera importante e ora molti colleghi si ricordano di lui: “Domenica, prima di Venezia-Verona, mi ha raggiunto Pazzini: -In questo stadio ci ho giocato una volta sola, quando ero all’Atalanta. Abbiamo perso 1-0 per un tuo gol-. L’altro giorno invece Zenga, che non conoscevo da allenatore ma al Venezia si è fatto subito apprezzare, mi ha voluto ricordare di un Torino-Inter in cui gli ho segnato".

Poggi per il suo Venezia ha compiuto anche scelte coraggiose: “Ero appena rientrato a Parma dal prestito a Piacenza, il dt era Arrigo Sacchi. -Voglio tornare a Venezia-, gli dico. -Ma se da Venezia stanno andando via tutti?-. -Eh lo so, proprio per questo ci voglio tornare-. Ci salvammo, in quella Serie B a 24 squadre”.

L'ultima da calciatore per Poggi coincise con l'ultima partita tra i professionisti per diversi anni del Venezia, in preda alla crisi post Zamparini: “La salvezza sul campo in Lega Pro rimane un’enorme soddisfazione ottenuta in condizioni proibitive. Con la società che stava fallendo, quel gruppo dimostrò dei valori sopra la media. C’era tanta venezianità, in quella squadra”.

Poggi, Mattia Collauto, Massimo Lotti (di Gaeta, ma veneziano acquisito), una forte impronta locale: “Una società localizzata in questa strana città deve necessariamente avere un po’ di indigeno dentro. Il presidente è il primo ad averlo compreso, con grande umiltà: qui ci sono dei meccanismi difficili da capire e da far capire".

Un incarico quello di Paolo che è una novità nel mondo italiano: “L’incarico ufficiale si chiama responsabile dei progetti internazionali: un’apertura verso il mondo intero da parte della società che è la rappresentanza sportiva più importante della città. Attraverso il nome di Venezia andiamo a raccogliere consensi, tifosi, affiliazioni con altri club”.

"Provo a immedesimarmi nel tifoso: dopo che in dieci anni ha visto tre fallimenti, deve trovare stimoli nuovi. Noi dobbiamo ricreare l’empatia, a prescindere dei risultati, dimostrando concretezza con i fatti. Mai come ora siamo vicini ad avere uno stadio nuovo, ad esempio. Un altro obiettivo è avvicinare la squadra alle persone, fisicamente. Non abbiamo macchine, ci si ferma e ci si saluta per la strada. Questa è la cadenza del veneziano. E così la gente deve vedere, potersi avvicinare ai giocatori. Entrando in amicizia e in confidenza con loro. Magari anche con qualche spritz. A quel punto, andare alla partita non sarà più 'vado a vedere il Venezia', ma 'vado a vedere i fioi'”.