Dott. Castellacci: "Sono momenti di sacrificio e tensione estrema. Questo virus teme il caldo"

Dott. Castellacci: "Sono momenti di sacrificio e tensione estrema. Questo virus teme il caldo"
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© foto di Federico De Luca

"Ho già vissuto questa esperienza in Cina, mai mi sarei aspettato di riviverla qui". A tuttomercatoweb Enrico Castellacci, ex medico dell'Italia è stato consulente per la Nazionale Cinese di Marcello Lippi e lo è tuttora per il Guangzhou Evergrande di Fabio Cannavaro. "Eravamo in ritiro a Dubai a gennaio, poi loro sono tornati in patria ed è scoppiato il caso, io ovviamente sono rimasto bloccato e non potevo più raggiungerli. Mi raccontavano tutto, era devastante. Per questo non ho mai sottovalutato il virus".

Lei dov'è ora e come sta?
"Bene, sono rientrato in Italia, ero a Dubai. Anche se con un viaggio micidiale c'era questo aereo per Roma, meno male. Però quando sono uscito dalla stazione, in Italia, nessuno aveva la mascherina".

È tornato per dare una mano?
"Certo, per lavorare. È bene essere qui".

Il World Health Organizzation ha dichiarato la pandemia.
"Il virus in Europa ha preso piede, globalizzando il Pianeta, in pratica. Era un atto dovuto, forse avrebbe dovuto passare prima allo stato attuale, ma non l'ha fatto per la questione psicologica. Non c'è dubbio che questa impennata in Europa abbia inciso. Quando moltissimi paesi nel mondo vengono presi da questo virus poi colpisce persone che non hanno gli anticorpi".

Cosa succede ora?
"Niente di più di quel che già capitava, a onor del vero. L'OMS in questi casi può mandare i propri uomini, siano essi commissari o medici, per favorire l'arrivo delle attrezzature. Cosa che in realtà già stava facendo, ma ora ha ufficializzato tutto e ha più autorità in materia, senza però interferire con le autorità locali. Può dare una mano maggiore, lo ha già fatto con la Cina, con l'Iran, con la Corea del Nord. Avremo anche più apparecchiature".

Quindi non ci può essere interferenza con il governo.
"“Non c’è alcun dubbio, l’OMS non può contrastare il parere di una Nazione che è sovrana nel decidere tutto. Può chiaramente dialogare con i vari governi, dare appoggio scientifico oltre tutti i sussidi. Può aiutare in maniera incredibile, ma non può interferire con le decisioni strategiche che per ogni azione”.

Noi italiani siamo stati un po' faciloni?
"Anche qui non c'è alcun dubbio, non credo sia una novità. Quindici giorni fa ne parlavamo in maniera ludica, nello sport, io dissi che sarebbero stati da bloccare tutti i campionati. Sembrava una cosa folle. Una pandemia di questo genere si combatte se si riesce a rallentare il virus. Siamo stati faciloni, specialmente i giovani che rinunciano con rammarico alla movida, all'aperitivo, addirittura ai rave party. C'è stata superficialità, trattandola come un'influenza che non è. Le direttive poi non sono state drammatiche da subito per non interagire a livello psicologico con utenza e cittadino, poi però c'è la psicosi che prende piede quando si vedono assalti ai supermercati con derrate alimentari che ci saranno anche in futuro. Viene l'angoscia, passiamo da un estremo all'altro".

Burioni sin dall'inizio invitava a stare a casa.
"Aveva ragione, più il cittadino sta solo, chiuso in casa, meglio è. Poi alcune attività devono andare avanti, ma un attimo di ratio e di saggezza aiutano, almeno nei giovani".

Dunque lo slogan è rimanere a casa?
"Questo è un virus che contagia con una facilità estrema. Meno rapporti sociali, meno ha la possibilità di viaggiare. Questo è il concetto, non ci sono valutazioni diverse. Non lo diciamo solo noi, ma i virologi, l'OMS. Si combatte solo così, è molto contagioso. Poi l'età è una discriminante, quella più alta viene presa facilmente, ma abbiamo tanti casi sui 40-50 anni, anche meno. La pericolosità non va sottovalutata, il virus può essere rognoso a ogni età. Insomma, stiamo a casa, diamoci una mano".

Metaforicamente parlando.
"Molto. La Cina da questo punto di vista ha dato una dimostrazione di valenza, con tutte le pecche che ci possono essere. Ha avuto decisioni draconiane fin dall'inizio, sono stati estremamente rigidi, cose che possono accadere in un regime cinese in maniera molto più semplice. Però sono riusciti a tamponare una situazione catastrofica. Oggi uno è più sicuro in Cina che in Italia, hanno bloccato 60 milioni di persone. Lì non si scherza, non si deroga. Si tratta di avere il senso di responsabilità. Ti dicono le cose da fare per tutelare la tua salute e quella degli altri e tu esegui".

Facendo l'avvocato del Diavolo, non era semplice prevedere...
"Io ne avevo il sentore, per motivi lavorativi avevo seguito quello che stava capitando. C'è stato il concetto "mah, è solo un'influenza", ma non è proprio così. Se poi tocca i polmoni con una polmonite interstiziale e c'è insufficienza respiratoria abbiamo un problema, serve un posto in rianimazione con dei ventilatori polmonari. Quanti ne abbiamo? Se ce ne sono 10 e ne arrivano 30, venti rimangono fuori".

L'allarme arriva da Lombardia e Veneto...
"I timori sono legittimi, figuriamoci se non tutti hanno un numero di ventilatori così alti. Gli operatori sanitari stanno dimostrando qualcosa di incredibile a livello medico e infermieristico, pensando a quante vittime ci sono state. Non siamo abituati a un discorso così a larga scala, il problema sono le attrezzature. Se la pandemia scendesse al Sud il problema sarebbe esponenziale. Le attrezzature sono già poche, non sufficienti. Speriamo non si propaghi. Sono momenti di sacrificio, di estrema tensione, cerchiamo di evitare il più possibile. Prima o poi arriverà il picco".

A proposito, quando è lecito aspettarselo?
"I casi sono tanti e non ci siamo ancora. Possiamo raggiungerlo nel giro di una settimana, lo dicono i virologi. Tutto ciò è una speranza, ma in questa settimana potremmo anche arginare con la remissione dei contagiati, con un barlume di luce. Ci vuole tempo. Non pensiamo che in quindici giorni torniamo a tarallucci e vino. Tornando alla Cina: ora hanno pochissimi contagiati, ma conservano misure drastiche, anche in regioni con pochissimi casi. Bisogna stare attenti e non mollare: parliamo di settimane e settimane".

Quando arriverà il vaccino?
"Normalmente non si riesce prima di un anno, perché vanno testati sull'animale e sull'uomo. Se poi si riescono ad accelerare le cose tanto meglio. Guardo con perplessità a quelle nazioni che dicono che nel giro di tre settimane possano avere novità, come Stati Uniti, Israele o Australia. O avevano incominciato prima e non so come abbiano fatto, oppure bisogna capire come hanno testato".

Il virus si può ripresentare due volte?
"Ci sono stati dei casi di recidiva, ma lo era davvero? Difficile dirlo. Se uno prende il virus, a quel punto, ha gli anticorpi. Una volta guarito è difficile ricaderci. Ma non possiamo saperlo ancora".

Ultima domanda: perché tutti aspettano il caldo?
"Perché questo virus lo teme, a temperature alte viene represso. Quindi si immagina che se c'è abbastanza caldo si possa ridurre la virulenza".