"Storia di un'Unione", terza puntata con Roberto Frizzo

13.11.2023 22:15 di  Manuel Listuzzi   vedi letture
"Storia di un'Unione", terza puntata con Roberto Frizzo

Per il terzo numero di “Storia di un’Unione” abbiamo avuto il piacere di incontrare Roberto Frizzo, altro protagonista della nascita degli Ultras Unione, ed ex ultras mestrino.

Da dove è venuto fuori il termine “Unione”?

La parola Unione nasce dopo la prima trasferta di Busto Arsizio, alla prima in casa al Baracca.  A livello ultras eravamo ancora al giorno zero, escludendo ovviamente i vecchi neroverdi e mestrini.  La sentimmo cantare da alcuni ragazzi mentre salivo in curva contro il Telgate, davanti alla Oberdan. Furono quelli che poi crearono la brigata Mestre, se non mi sbaglio. Insieme ai più giovani come Franz ed Andrea Kaos organizzammo allora una riunione coinvolgendo i veneziani, come Maggio, mentre il Bae era ancora all’estero. Le conoscenze tra di noi c’erano già, almeno di fama, così contattammo la sponda veneziana per organizzare un incontro al bar di via Garibaldi, proprio dietro al Baracca. Da li mettemmo le prime basi, in curva allora c’era solamente lo striscione “Rangers”. Iniziammo così a conoscerci. Il movimento ultras allora era più grezzo ma più sincero di adesso e tutto è venuto quasi da sè. Vedevi dei ragazzi con una bandiera diversa ma con gli stessi ideali di aggregazione, di vicinanza alla squadra, ovunque giocasse. Così proponemmo il nome Unione e tutti lo accolsero bene, con Riccardo Bellotto che si occupò di creare il primo striscione degli Ultras Unione, alla prima partita in casa dopo Treviso. Il nome ormai era nella nostra testa, e dalla riunione in poi diventò anche la nostra fede.

Alle prime partite amichevoli con dinamo Zagabria ed Atalanta non c’era ancora un nome che ci identificasse, le due curve erano ancora divise, con striscione Venezia da una parte e Mestre dall’altra. Non c’era ancora condivisione. Gli UU crearono invece il gruppo portante e nacquero subito anche piccoli sottogruppi.  Io, Franz e Kaos dalla parte mestrina, e poi si inserirono Maggio, Bocalon, il Bionda, Alain, dall’altra; ma penso di poter dire che la sponda arancionera fu quella che all’inizio creò lo striscione ed i primi ad accettare questa nuova realtà.

Fu quasi imprevisto il modo e la velocità con cui ci affiatammo, nonostante la rivalità fosse così grande. Non fu nemmeno il grande progetto di Zamparini ad affascinarci così tanto, a quell’epoca la categoria contava ben poco, è stato più l’idea di voler creare qualcosa di nuovo e di speciale.

Ricordo che qualche anno dopo vennero i giornalisti di pressing ad incontrarci e ci fecero un sacco di elogi dicendoci quanto fosse unico e speciale quel che stavamo creando. E non è successo perché la piazza fosse piccola, il bacino era già buono, con il Mestre dalla c2 e pure il Venezia che aveva un grande seguito. Poche piazze sarebbero state così mature da accogliere una cosa del genere, quella fu la nostra scommessa. Era un’utopia, un sogno. La cosa era coinvolgente, lo capivamo, lo sentivamo; ed infatti alla vigilia della prima trasferta di Treviso, di notte tappezzammo la città di volantini; il pubblico reagì alla grande, grazie forse alla rivalità comune con loro, ed andammo in 3 mila.

C’erano ancora gruppi che non si riconoscevano nel nuovo nome in quel momento?

Solo gli anziani all’inizio continuavano a cantare Venezia, i problemi nacquero più tardi con la “vecchia guardia”, ma c’è da dire che per noi è stato più semplice accettarlo, giocavamo a Mestre. . In c1 nacque infatti, in curva sud del baracca, il gruppo della vecchia guardia, e con essa i primi screzi. Ma dopo la promozione in B, alla prima al Penzo con la Reggiana, si diceva che ci aspettassero al varco, ma noi ci presentammo in migliaia fuori dalla stazione gridando “Unione”, e lì fu chiaro quel che sarebbe stato il futuro del tifo nella nostra città.

E poi come proseguì il rapporto tra i due gruppi?

Chiaramente le sciarpe neroverdi non furono viste benissimo da quel momento, più che altro per la voglia di dividere che invece era opposta a ciò che noi stavamo creando. Solo Golia, il fratello di Maggio, portò sempre fieramente la sua sciarpa cantando Venezia ovunque in italia, ma lo fece al di là dei risultati, si meritò tutto il nostro rispetto, mentre la vecchia guardia ed i nostalgici vennero fuori solamente con la serie b ed i primi successi importanti. Lui invece non cambiò mai idea. Per questo ciò che ci dava fastidio era che prima del grande calcio nessuno aveva mai messo in dubbio la nuova identità, ma appena i risultati divennero importanti ecco che rispuntarono questi gruppi. Ma si sa, per gli ultras non è il massimo.. noi ce ne fregavamo della categoria mentre loro cavalcavano solo l’entusiasmo provando a rialzare la testa.

Come prese invece un ex arancionero come te il ritorno al nome Venezia?

Il ritorno al nome Venezia non fu un trauma, noi avevamo creato questo nuovo nome e questo grande sogno, per cui a noi interessavano i colori più che il nome. E Zamparini lo sapeva benissimo. La tifoseria infatti non creò problemi fino a quando ci presentò una maglia totalmente neroverde con piccoli bordi arancioni, e la reazione fu pesante, con Zampa che venne in curva sommerso di insulti. Ciò che più diede fastidio fu che la società non ebbe l’accortezza di coltivare quel poco che doveva coltivare, non si rese conto del passaggio che ci fu. Persero l’opportunità di comprendere la portata dell’evento che noi, come tifoseria, stavamo creando. Era un operazione nata con scopi economici, ma noi la trasformammo in qualcosa di grande, un’utopia. E solo quando Zamparini si trovò la muraglia umana in serie a se ne rese conto, perché quello non era merito della società, ma di come avevamo coinvolto tutto il popolo nel concetto di Unione.

Cosa c’era di così magico in quella nuova tifoseria?

La cosa più bella era l’amicizia. Ricordo la sciarpa con impresso “i migliori anni della nostra vita”, è stato proprio così. All’epoca era tutto ciò che contava. Oggi invece nelle curve italiane vedo tanta voglia di protagonismo, mentre noi eravamo solo un gruppo di amici. Questo è il ricordo più bello. Sette giorni alla settimana a parlare di calcio con gente meravigliosa, come il Bae, una persona che mi ha fatto crescere come uomo. Era la condivisione la cosa più importante come quella volta a Trento contro il Verona in 27 contro 400. Là fai gruppo come non mai.

Come mai secondo te gli Ultras Unione sono ancora così ricordati?

Abbiamo creato qualcosa di unico, ma credo sia stato anche per essere stati così coinvolti nel sociale. In Italia ci conoscono ancora per questo. E non aveva a che fare con la politica, noi la tenemmo fuori, al di là di ciò che dicono. Siamo sempre stati corretti con tutti e questo ha meritato il rispetto del mondo ultrà, compresi rivali come vicentini o pescaresi. Abbiamo partecipato alla vita sociale della nostra città, dato una mano, ed è stato fondamentale. Se riduci tutto allo stadio diventa limitante, noi invece vivevamo questa fede anche fuori dalla curva. Tra le battaglie che ricordo più volentieri c’è quella pro Palestina, ci tenevamo alla questione umana più che politica. Eravamo in prima linea per le alluvioni, solidarietà, tante raccolte fondi per le popolazione in difficoltà o ragazzi alle prese con battaglie personali.  E ne siamo orgogliosi.

Ti senti di dire qualcosa ai ragazzi più giovani che stanno tornando a riempire la sud?

Mi riempie di orgoglio che cantino ancora per l’Unione. La creammo noi, la tramandammo, e nonostante tutta la stampa facesse finta di  nulla, o ci remasse contro, siamo riusciti a farla arrivare fino ad oggi. Poi ci furono ragazzi, come Guly, che fu un grandissimo collante tra le due epoche e tra i vari passaggi, grazie alla sua mentalità. Devono portarla avanti, a qualsiasi costo, perché quando vedi che nonostante tu abbia tutto contro riesci a portare avanti il tuo messaggio, la soddisfazione è enorme. Portano avanti una storia unica a livello nazionale, gli UU sono ancora rispettati da tutti, nemici compresi. E loro devono essere fieri e consapevoli di star proseguendo quella storia. Anche se il movimento ultras è cambiato completamente, mantenere l’identità è la cosa più importante, quella di due tifoserie rivali che ebbero il coraggio e la forza di fondersi e creare quel sogno chiamato VeneziaMestre. E certo, questo da valore anche a noi che lo realizzammo.

La fondazione del VeneziaMestre è servita anche a cambiare la città secondo te?

Assolutamente! Basti pensare al referendum che credo fu un segnale di come l’Unione cementò la città anche fuori dal calcio, ed io credo che ora, e lo dico da mestrino, non ci sia più alcuna separazione tra le due realtà. Forse perde anche un po’ di senso continuare a chiamarle “le due città” perché ormai sta diventando una città unica. Guarda l’Udinese, racchiude ormai tutto il Friuli. Sarebbe tempo che adesso anche noi ci sentissimo il simbolo di tutti, veneziani, mestrini, tutto l’hinterland, perché ormai effettivamente lo siamo già. Siamo la squadra di questo unico posto, per me sarebbe quasi da chiamare la città stessa VeneziaMestre, chiaramente con le sue unicità e differenze che la rendono però ancor più speciale. La nostra fede ha proprio cambiato la gente, come i veneziani che una volta raramente superavano il ponte, ho come la sensazione che questa squadra sia servita anche a quello.

Qual è il tuo pensiero invece sui sostenitori di casa al Baracca?

Guarda, io porto rispetto per chi non ha accettato la fusione, ma mi dispiace per chi l’ha rinnegata tornando indietro a qualcosa che però non esiste più. Quel 10 per cento di chi va ora a vedere il Mestre che è stato coerente con la scelta di allora. Tutti gli altri sono giovani e meno giovani a cui è stata raccontata una storia diversa dalla realtà. Io, da ex tifoso arancionero credo che l’Ac Mestre non sia più esistito dal giorno della fusione. Se noi non siamo il VeneziaMestre come alcuni di loro sostengono, allora loro non sono sicuramente il Mestre di cui parlano, perché quella matricola finì a Palermo, semplice. Se un ragazzo si sente più identificato nei colori arancioneri va bene, ma non è il mio Mestre, non avrebbe proprio senso. Ma credo che si perdano qualcosa di bello, proprio perché non lo conoscono.

Avresti invece un consiglio alla società arancioneroverde?

Se fossi un dirigente che volesse veramente comprendere a fondo la nostra realtà, coinvolgerei tutta la tifoseria in una grande festa che faccia da compleanno al VeneziaMestre, come la data di fondazione, la prima partita ufficiale, quel che vogliono. Senza riferimenti al vecchio Venezia, al vecchio Mestre, solo per l’Unione. E farne un evento che diventi un simbolo. Anche perché adesso i colori sono divisi bene, c’è rispetto. Son cambiate molte cose. Per esempio la maglia da gondoliere una volta sarebbe potuta considerarsi divisiva, ma ora la vedo diversamente. Ormai Mestre è Venezia e Venezia è Mestre, ed i simboli delle due anime devono essere condivisi e renderci ugualmente fieri. Io sognavo la maglia con i colori della Serenissima con bordi arancioverdi per esempio. Vedi, una volta comunque c’era rivalità, quasi odio, tra di noi. Io non indossavo nulla di nulla di nero e verde. E anche se non eravamo tantissimi, c’era comunque forte astio. Adesso è tutto cambiato, ora c’è stata una vera Unione anche tra la gente. Siamo riusciti a far scoprire ai mestrini l’orgoglio di sentirsi rappresentati dalla città più bella del mondo. La bandiera di San Marco rappresenta sia Venezia che Mestre, poi che si utilizzino di più gli emblemi della città d’acqua è ovvio e normale. Ma non è vero che questa squadra rappresenta o ha rappresentato solo una parte. Ricordo una stagione in cui  l’Unione ebbe una maglia azzurra, come la seconda del Mestre e colore della città di Mestre.

E poi alla fine, eravamo uniti anche prima..  I mestrini forse non sanno che l’Ac Mestre, l’anno della c1 e anche un paio successivi in c2, giocò con un simbolo con una emme stilizzata che simboleggiava sia il ferro della gondola che la torre di piazza Ferretto. Tra l’altro ce l’ho tatuata sul braccio. Questo per dire che il legame tra le due sponde del ponte fa parte del nostro popolo, della nostra città, anche se molti preferiscono ignorarlo. E non significava riconoscere Venezia, perché non se lo sarebbe permesso nessuno, un tempo, ma faceva da collegamento. I  simboli erano quelli, la gondola, il palazzo ducale, con tutto il rispetto per la nostra torre; certo se tu li vedi come simboli unicamente veneziani puoi storcere il naso, ma se inizi a ragionare come unica realtà, mi rappresenta al massimo.

Cosa puoi dire a chi la ritiene ormai una battaglia del passato e vorrebbe tornare a chiamarci solo Venezia?

Gli porterei una foto del muro della sud, gli farei capire che quel muro ha una storia che è d’obbligo portare avanti. Se facessimo diversamente perderemmo la possibilità di capire la fortuna che abbiamo ad aver vissuto una storia così, di due città rivali, non è da tutti. Siamo una cosa unica ed è un unicità che va difesa e preservata. Parlare ancora di Venezia e Mestre prefusione è anacronistico, è voler vivere nel passato. Vorrei anche io avere 20 anni e vivere la curva in quel modo, ma ora vengo con un altro spirito, ora spazio ai giovani che credo abbiano voglia di continuare questa fantastica storia!