Antonio Bevilacqua: un veneziano in vetta al ciclismo mondiale

17.04.2020 19:40 di  Mirko Galasso   vedi letture
Antonio Bevilacqua: un veneziano in vetta al ciclismo mondiale

Classe 1918, Antonio Bevilacqua detto “Toni” nacque a Santa Maria di Sala (Venezia) e durante la sua carriera – tra il 1940 e il 1955, l’epoca d’oro del ciclismo purtroppo interrotta dalla guerra – lasciò il segno con ben undici vittorie al Giro d’Italia, quattro titoli italiani di inseguimento su pista e due titoli mondiali nella stessa specialità. Soprannominato affettuosamente “Labrón” da Gianni Brera, Toni Bevilacqua fu un passista veloce e completo, molto apprezzato se avesse corso negli ultimi anni visti i tanti pistard (il campione olimpico veneto Elia Viviani, solo per citarne uno) capaci di imporsi anche su strada. Scomparve tragicamente nel 1972 a causa di una caduta avvenuta proprio in bicicletta.

C’era una volta un tempo in cui il ciclismo parlava italiano nei grandi giri e nelle cinque classiche monumento. Oltre a riguardare con nostalgia e ammirazione quel periodo, gli appassionati di questo sport discutono su quale, delle cinque più prestigiose corse di un solo giorno, sia quella regina. Una di queste, comunque, è in grado di condensare in poche ore le emozioni di una stagione intera: parliamo della Parigi-Roubaix, tra le più antiche prove di questo sport. In apparenza piatta, è forse l’unica corsa ciclistica le cui dinamiche siano, tutt’ora, le stesse delle origini: non essendo in grado di dominarla, il gruppo dei corridori è costantemente sottoposto a una frammentazione spettacolare con frequentissimi colpi di scena. Ogni azione può essere decisiva e, così, la fanno da padrone l’inventiva dei corridori – costretti a passare sulle strade di campagna in pavé della Francia nord-orientale – la loro comprensione della corsa, la tenacia e la resistenza. Vinta non di rado da italiani (l’ultima volta nel 1999), nel 1949 arrivò primo a pari merito Serse Coppi; fu poi portata a casa da suo fratello, il “campionissimo” Fausto nel 1950, anno in cui Bevilacqua lasciò il suo primo sigillo sul mondiale di inseguimento su pista.

Uomo di punta della squadra veneta Benotto, l’8 aprile 1951 Bevilacqua prese parte a una Parigi-Roubaix segnata dal maltempo e dalla presenza di leggende come Louison Bobet, Van Steenbergen, Fiorenzo Magni, Kubler… “Toni” aveva partecipato soltanto a una Milano-Sanremo decisamente sottotòno e, appurata al contrario l’abilità su pista, non figurava tra i favoriti di una corsa resa interminabile (dati i 247 chilometri del percorso) dai tratti di pavé, con quelle grosse pietre e l’importanza di saper “leggerle”, cavalcandole o passando a lato della strada quando possibile. Vibrazioni – o dovremmo dire vere e proprie botte – durissime da assorbire a quasi quaranta chilometri orari, che rendono così non banali neanche i tratti asfaltati del percorso. Concordato il piano con Giulio Rossi, il vincitore italiano della Roubaix di quattordici anni prima che Bevilacqua aveva voluto in ammiraglia a seguire la gara, Antonio sapeva benissimo l’importanza spasmodica di “stare davanti” in un gruppo in cui le frequenti forature e gli scoppi di gomma possono causare cadute generali e costare gli sforzi dell’intera giornata. Devi essere un vincente, per raccogliere nello sport “più perdente di tutti”, quando partono in 202 e arrivano in 96, con uno solo a restare veramente nella storia. Bevilacqua ne diede un saggio iniziale quando dopo circa centocinquanta chilometri di corsa il campione francese Bobet forò, perdendo molte posizioni. Toni allora ruppe gli indugi, partendo dal peloton con alcuni compagni di avventura su una piccola rampa ad Arras, poco dopo la zona rifornimento. L’azione fu decisiva e il gruppetto riprese la coppia di testa formata dai belgi Impanis (tra i favoriti della corsa) e Van Brabant, chiudendo la loro lunghissima fuga; seguì lo spettacolare e dispendiosissimo rientro di Louison Bobet e, tra le altre cose, la foratura di De Santi (l’unico compagno di squadra di Bevilacqua sopravvissuto al ritmo dei migliori) e varie sfortune che metteranno fuori gioco nel finale pure Magni.

Nel gruppetto di testa, che contava nove corridori, spadroneggiava la Girardengo-Hutchinson, squadra del super velocista Rik Van Steenbergen (il favorito assieme a Bobet in caso di arrivo in volata) con tre elementi. Il numero 177, però, sorprese tutti – intenti a marcarsi sulle dure pietre delle Fiandre francesi – con uno scatto sull’asfalto liscio a sedici chilometri dall’arrivo: non scese mai sotto i 45 chilometri orari e i rivali tentarono invano di accordarsi per riprenderlo… tuttavia la pedalata del veneto Bevilacqua (non composta come quella elegante di Coppi) macinò furiosamente gli ultimi tratti di gara tradendo lo sforzo e la determinazione di arrivare quella domenica d'aprile al velodromo di Roubaix. E tagliare il traguardo, senza nemmeno voltarsi, con un minuto e mezzo di vantaggio su Bobet e Van Steenbergen per far sua la classica più amata del ciclismo e la corsa più bella della sua carriera.