ESCLUSIVA - Domizzi: "Non sono passati molti anni da quando c'ero io, ma a Venezia sono già cambiate tante cose"

21.11.2022 14:30 di  Davide Marchiol  Twitter:    vedi letture
ESCLUSIVA - Domizzi: "Non sono passati molti anni da quando c'ero io, ma a Venezia sono già cambiate tante cose"
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Maurizio Domizzi è sicuramente uno dei primi giocatori che vengono in mente quando si parla di Venezia, soprattuto quando si parla della storia recente arancioneroverde. L'ex difensore ha chiuso la carriera con il tramonto della gestione Tacopina e proprio da qui è partita l'intervista ai nostri microfoni, con il passaggio da quell'era a quella targata Niederauer, che ha portato la grande gioia della Serie A, ma anche la frattura e i gravi problemi sportivi che hanno caratterizzato l'ultimo biennio. Queste le dichiarazioni del nativo di Roma, in calce la videointervista.

Hai lasciato Venezia da pochi anni ma tante cose sono cambiate, come vedi ora da esterno la realtà arancioneroverde?

“Sì la realtà è molto diversa. Non sono passati tantissimi anni ma sono cambiate diverse cose nella struttura e, fondamentalmente, nella mentalità. Farei una distinzione, anche se capisco che per i tifosi e per gli addetti ai lavori, che può essere un calciatore come una persona che lavora dentro, tra l’aspetto sportivo e l’aspetto manageriale. E’ vero che il campionato di quest’anno dopo la delusione dell’anno scorso presentava altre aspettative ed è partito invece in modo diverso, però c’è da sottolineare comunque un aspetto positivo che resta una rarità per il nostro calcio, ovvero che nonostante la retrocessione e la falsa partenza la società sta continuando ad andare avanti dando garanzia di continuità e soprattutto sta creando strutture che al di là di quella che può essere la categoria momentanea di un anno o di un altro sono poi un valore e un patrimonio per la città che pochissime realtà in Italia possono vantare. Quindi quel lavoro lì non può essere sconfessato da un risultato sportivo che, bisogna ammetterlo, è deficitario”.

Tu che hai vissuto quei primi anni che ricordi hai di Tacopina che arrivò con il Venezia tra i dilettanti trasformandolo in un brand quasi internazionale? In questi ultimi anni la cosa si è un po’ esasperata forse, che differenza vedi ora con la gestione Niederauer?

“Mi ricordo benissimo il periodo perché l’ho vissuto da protagonista. Tacopina fu un po’ un precursore di quello in Italia. In Inghilterra, per esempio, la tendenza era già spiccata, mentre lui qua in Italia fu fra i primi a portare investitori tra Roma, Bologna e poi Venezia. All’epoca sembrava quasi utopia soprattutto rispetto alle categorie che faceva il Venezia. Si respirava però che lo sport e soprattutto il calcio cominciavano a guardare in quella direzione, la strada era un po’ intrapresa anche se a livello italiano non molto. Dal 2016/2017 in poi questo ragionamento è esploso anche in Italia e credo siano almeno una quindicina ormai le proprietà straniere a certi livelli in Italia, tante americane. Io ho un po’ più la mentalità del tifoso, cresco con un calcio diverso, finisco la carriera a cavallo di un calcio ancora diverso e negli ultimi anni ho fatto un po’ fatica anche io a seguire una certa ottica. Giusto o sbagliato non lo so, ognuno ha il suo modo di viverla, il calcio però va ormai verso quella direzione, ci siamo adeguati ai paesi europei. Presenta qualche contro perché la parte morale viene un po’ meno, guardando all’Italia può portare qualche vantaggio perché lato investimenti su ciò che ruota intorno al mondo del calcio le società straniere badano un po’ di più a certe cose, mentre le società italiane magari curano esclusivamente l’aspetto sportivo”.

Nell’ultimo biennio si è registrato un forte cambiamento nella filosofia del Venezia, soprattutto per quanto riguarda la scelta dei giocatori, non si sta forse però un po’ esasperando il voler battere sempre piste sconosciute?

“Alla base c’è una realtà con la quale ti devi per forza scontrare, c’è uno scotto da pagare quando cambi completamente filosofia. Succede a chiunque, ebbi la fortuna di giocare contro uno dei primi Liverpool americani che aveva appena cambiato proprietà e arrivava sempre settimo o ottavo, non ci arrivava in Champions. Sono sempre difficili certi cambi perché ti vai a scontrare con delle abitudini degli usi e dei costumi che sono talmente radicati che un qualche problema te lo possono portare, poi sul lungo si vedrà se la cosa porta frutti o meno. C’è da fare una distinzione, perché se il trend rimane questo tra dieci anni l’80% delle squadre in Italia sarà di proprietà americana e quello che stiamo vedendo sarà il modus operandi standard, quindi sarà difficile fare dei paragoni. Credo a prescindere una cosa che riguarda il Venezia come tutti. Non credo esista un meglio o un peggio, ma esiste una cultura, un modo di fare che va rispettato, perché fa parte del paese, della città e dell’ambiente; quindi, cambiarlo drasticamente così in troppo poco tempo è una cosa che non ritengo giusta. Ma come al contrario, quando un tecnico italiano va all’estero deve tenere conto delle tradizioni che trova”.

Ci ricordiamo ovviamente la promozione dalla Serie C e poi i playoff contro il Palermo. Di quella squadra ricordiamo l’anima del gruppo, con un leader forte in panchina. L’anno scorso avevamo un leader come Zanetti che riusciva a trascinare tutti, quest’anno invece oltre alle differenze culturali la sensazione è che manchi qualcuno che riesca a tirare fuori il carattere, con Javorcic che ha avuto tante difficoltà:

“C’è già parzialmente una risposta nella disamina. Ovviamente è difficile parametrare certe cose. Per assurdo a un gruppo di quel tipo mettergli un allenatore ‘troppo italiano’ potrebbe essere un problema perché le abitudini, la comunicazione e i modi di pensare sono diversi. Dall’altro parte può essere un vantaggio perché avere una linea guida unica facilita le cose, altrimenti poi si crea il presupposto dove ognuno vive la situazione a modo suo e non la si vive allo stesso modo. Sono convinto che una guida italiana al Venezia in questo momento possa far bene, avrà magari inizialmente qualche difficoltà, ma almeno dà un riferimento che tutti devono seguire e questo può agevolare. La scelta di Vanoli quindi in questo momento mi sembra giusto, poi ovvio che a questo punto deve andare dietro dal punto di vista gestionale alla sua filosofia, così come nell’aspetto tecnico”.

In generale come stai vedendo questa Serie B? Quali squadre ti stanno piacendo di più e dove posizioneresti il Venezia?

“Quelle che sinceramente mi sono piaciute di più in queste giornate sono Frosinone e Reggina, partite un po’ indietro nelle aspettative, ma con ottimi organici e con due ottimi tecnici. Sono state quelle che secondo me hanno ottenuto il meglio combinando delle buone prestazioni a dei buoni risultati. Credo che alla lunga il Parma si insiederà in quel tipo di lotta perché ha un’ottima squadra e gioca bene, cosa che fa più fatica a fare il Genoa, che ha l’organico migliore ma non entusiasma sotto l’aspetto del gioco. Ad oggi, per fortuna, la qualità e l’organizzazione stanno premiando. Numericamente il campionato di Serie B ci ha insegnato che una squadra come il Venezia, parlo dal punto di vista del punteggio, avrebbe ancora chance di arrivare ai playoff. Sicuramente però se nelle prossime sei o sette giornate non riesci a sfilarti da quelle posizioni di classifica diventerà difficile avere certe prospettive. Vedremo come sarà gestito il mercato di gennaio, perché in tutti i campionati poi il mercato incide molto, soprattutto nelle squadre che lottano per non retrocedere. Lì gli equilibri sono talmente sottili che due o tre giocatori al posto giusto possono stravolgere gli equilibri, mentre magari le squadre in cima hanno realtà consolidate dove due o tre giocatori nuovi non spostano più di tanto”.

La prossima sfida per il Venezia è contro il Palermo, che ricordi hai di quella sconfitta ai playoff con comunque l’affetto dei tifosi che vi hanno accolti quando siete rientrati?

“Ho ricordi sicuramente piacevoli perché penso sia indiscutibile che quella squadra fece il massimo se non qualcosa in più sia dal punto di vista dei punti fatti che dal punto di vista caratteriale. Lo dissi quella volta e lo ribadisco, poi chiaramente il risultato sportivo fu una delusione, ma non posso non ricordare con affetto quella partita al di là della sconfitta”.