ESCLUSIVA - Schwoch: "Ricordo Venezia come il gruppo più bello con cui ho giocato. I Leoni ora ad Empoli hanno una grossa opportunità"

19.02.2021 12:00 di  Davide Marchiol  Twitter:    vedi letture
ESCLUSIVA - Schwoch: "Ricordo Venezia come il gruppo più bello con cui ho giocato. I Leoni ora ad Empoli hanno una grossa opportunità"

Graditissimo ospite del nostro Talk Show settimanale sul Venezia, l’ex bomber arancioneroverde Stefan Schwoch è stato intervistato da Davide Marchiol, Manuel Listuzzi ed Alvise Osto. Queste le sue dichiarazioni, partendo subito con un ricordo di quell’anno e mezzo a Venezia: “Lo ricordo come il gruppo più bello con cui ho giocato a calcio, abbiamo condiviso un anno e mezzo stupendo, è stato l’unico anno dove si ricordo si mangiava tutti assieme, eravamo molto legati uno con l’altro. Si andava a mangiare per la precisione al Sottovoce, con aperitivo al mitico Calice che poi non c’è più. Quello era un locale bellissimo. In 25 anni di carriera non mi sono mai divertito così tanto in un gruppo come a Venezia, è forse l’unica squadra dove sento a tutt’oggi i miei compagni, Miceli, Dal Canto, Luppi, Iachini… non è da tutti poi vincere un campionato e dire di aver fatto una sfilata sul Canal Grande nella città più bella d’Italia, poi per l’occasione hanno ricostruito la barca del Doge, la piazza era gremita. Quando fai una promozione in una delle città più famose al mondo la cosa si fa suggestiva, portavamo il Venezia in Serie A dopo decenni, sicuramente è stata una grossissima emozione, abbiamo coronato un sogno che tutti volevamo realizzare a inizio anno”.

Un’annata dove fin da subito c’era la convinzione di far bene:

“Sapevamo che Zamparini e Di Marzio si erano mossi per costruire un’ottima squadra, nessuno ci dava favoriti alla promozione, c’era un allenatore emergente e io conoscevo solo Luppi e Iachini. Sapevamo di poter fare un buon campionato, ero al secondo anno in B dopo Ravenna. L’anno prima il Venezia non andò molto bene, ma c’era una base importante, c’erano i Filippini, Marangon, Pedone, Miceli, arrivammo io e Iachini, Cossato… strada facendo arrivammo a prendere sempre più fiducia ottenendo il secondo posto dietro alla Salernitana”.

Ciccio Forte ora sta ricalcando un po’ le tue orme a Venezia, anche se in un campionato ora completamente diverso:

“Il calcio è cambiato tanto, per gli attaccanti di adesso è un po’ più facile segnare e sono più tutelati, i difensori adesso hanno pochi margini per contrastarti, con le telecamere poi. Adesso forse i difensori sono un po’ troppo penalizzati. Per quanto riguarda bomber Forte è uno degli attaccanti che io sarei andato a prendere subito. Io abito a Vicenza e in tanti mi chiedevano chi si doveva prendere e io davo sempre il nome dei due più forti, ovvero Forte e Coda. Forse Forte è più simile a me per caratteristiche, Coda è un po’ diverso. Il Venezia si è assicurato uno dei giocatori migliori della categoria. Quando vedi un giocatore ti accorgi se fa gol solo per un anno o se ha i mezzi per essere continuo. Qua a Vicenza Forte non ha fatto una grandissima partita, ma ha preso il palo con l’unico pallone toccato. Se gli dai due occasioni una la fa, quindi sei già a buon punto, il gol di sinistro contro la Cremonese è stato fantastico per coordinazione. Il Venezia poi – continua Stefan - ha un allenatore che è molto bravo e ha dato continuità al lavoro fatto da Dionisi che per idee che ha forse è l’allenatore più forte della categoria, ma Paolo Zanetti può percorrere quella strada là, anche lui ha un calcio propositivo, se c’è un pareggio è una non vittoria, non una non sconfitta, perché a vincere ci prova sempre. Sono contento che Paolo sia a Venezia, una piazza a cui tengo molto”.

Provocazione, temi che Forte possa “rubarti” il ruolo di bomber della A nel cuore dei tifosi?

“Lo spero! Non è una cosa che temo, spero possa far bene per il Venezia e per sé stesso e spero possa portar via il ricordo che ho lasciato io. Se lo merita, è un ragazzo che fa le cose seriamente, gli auguro di poter festeggiare alla fine sul Canal Grande in Piazza San Marco. Probabilmente stavolta ci sarebbe molta meno gente, la pandemia penalizza tutti sotto tutti gli aspetti perché giustamente si pensa prima di tutto alla salute, sicuramente non saranno due anni ricordati come gli anni migliori ecco”.

In un match col Perugia un giovanissimo, e futuro campione del Mondo, Marco Materazzi faticò decisamente a contenerti

“Materazzi allora era giovanissimo e io avevo caratteristiche diverse, quando puntavo in campo aperto la velocità era doppia, però si rifece al ritorno perché mi riempì di botte (ride ndr). Un giocatore molto cattivo in campo e molto bravo fuori dal campo. Dentro il campo ci sono persone che si trasformano e lui era uno di quelli. Facemmo quella volta una partita incredibile contro un Perugia che era tra i favoriti per la promozione visto che era guidato da Gaucci che aveva fissato l’obiettivo”.

C’è quell’esultanza in un Venezia-Vicenza 1-2 che ad alcuni tifosi non piacque:

“Penso che un giocatore si debba giudicare per quello che fa nel momento e anche se esulta dopo aver segnato contro una sua ex squadra è sempre col massimo rispetto e anche nel rispetto degli attuali tifosi. Ho sempre detto che Venezia è stata la piazza che mi ha lancaito, non posso che avere ricordi stupendi. Sarò sincero, quell’esultanza neanche me la ricordo, andrò a rivedermela su YouTube”.

Parentesi extra Venezia, come ha vissuto le esperienze a Napoli e a Torino prima di diventare una bandiera del Vicenza?

“Dopo Venezia andai a Napoli e Napoli è una piazza che fa storia a sé, una città da un milione e mezzo di abitanti, 70/80 mila persone allo stadio in B, una città che vive il calcio quotidianamente, è una piazza che può essere paragonata al Real o al Barcellona anche in B. A Napoli andò molto bene e fu tutto bello. Torino invece fu un’annata particolare, là avevano fatto una squadra per ammazzare il campionato e invece a fine girone d’andata ci ritrovammo terzultimi con contestazione ogni giorno da parte dei tifosi. Poi con il cambio di allenatore, di qualche giocatore riuscimmo a rialzarci e arrivammo addirittura primi vincendo il campionato con una giornata di anticipo, andammo su contro il Pescara e l’ultima la vincemmo con il Cosenza festeggiando. Fu però l’anno più duro, vincemmo 11 partite di fila per 1-0”.

Avevi caratteristiche particolari per l’epoca, per qualità eri seconda punta, ma facevi spesso il centravanti:

“Ero un numero 9 atipico giocando in coppia con Cossato, il 9 di quei tempi era Bierhoff, Trezeguet, Batistuta, forse c’era giusto Signori che era simile a me, ma erano tutti portati ad avere una punta importante con qualcuno che girava intorno, io invece facevo il contrario”

Poi una volta in A a gennaio ci fu la separazione, come si arrivò all'addio?

“Quella in A fu un’annata particolare, andai via io che era l’unico che aveva segnato perché Pippo Maniero non stava attraversando un bel periodo. Feci un gol a Firenze e uno a Udine. Il presidente Zamparini mi chiamò dicendomi che non sapeva come sarebbero andate a finire le cose e che c’era un’offerta, lo pagavano e come mio atteggiamento non sono mai voluto rimanere dove non sono desiderato. Ho sempre fatto questa scelta, se mi dicevano che c’era la possibilità di vendermi andavo via senza far polemiche, successe così anche a Napoli, a fine stagione mi dissero che rimanevo e dopo tre giorni che ero a casa invece mi comunicammo la cessione al Toro, non potendo così giocare la Serie A… e andò incredibilmente così anche a Torino perché vincemmo il campionato e ancora una volta accettarono l’offerta del Vicenza. Avevo 31 anni – continua Schwoch - il Torino mi pagò 11 miliardi, a mente fredda capisci certe dinamiche più economiche, però sul momento la presi molto male. Quando una squadra di B cercava un bomber ero uno dei primissimi nomi, ma col senno di poi forse un po’ più di Serie A potevo farla”.

La partita più bella giocata a Venezia? Che rapporto avevi con Zamparini?

“Una delle partite più belle fatte col Venezia l’ho fatta contro il Torino a Torino, mi pare con una doppietta mia e di una doppietta di Cossato. Per quanto riguarda Zamparini auguro a chiunque gioca a calcio di poter avere un presidente come Zamparini, non ti faceva mancare nulla. Ricordo che dovevamo giocare un derby in campo neutro contro il Treviso ed era una delle prime partite, stavo ancora arredando casa, telefonai al presidente dicendogli ‘guardi, devo andare al Mercatone posso prendere una televisione’ mi disse ‘guarda vai e dì… anzi non ci andare, se fai gol domenica te la regalo io’. Abbiamo fatto 1-1 con un gol mio, mi telefona e mi fa ‘Stefan ho pronta la televisione, vieni con un furgone’, risposi ‘con un furgone? Ho una Mercedes enorme, basterà?’ no perché mi aveva regalato un televisore enorme della Sony mi pare. Era una persona che non faceva mancare nulla, non dava lo stipendio mai di un giorno in ritardo, quando prometteva manteneva, non voleva mai avere un giorno di ritardo perché quando doveva strigliarci non ci dovevano essere scuse. Fortunatamente di strigliate ne vidi veramente molto poche, perché in B andò molto bene, in A meno ma poi ci fu l’incredibile risalita con Recoba. Non lo avrei fatto mai andare via da Venezia”.

Parlando del Venezia di oggi è una squadra che ha cambiato stile di gioco continuando a ottenere risultati:

“Il Venezia sta trovando un equilibrio difensivo che forse prima un po’ mancava, con qualche accorgimento in più ora subisce meno, magari crea meno ma quando ha l’occasione segna e porta al 90% a casa la partita e questo è ciò che contraddistingue le grandi squadre”.

Similitudini tra il tuo e questo Venezia?

“Tutte e due avevano degli attaccanti forti dai (ride ndr). Devi avere la mentalità di volere e potere vincere con chiunque, noi forse eravamo più attrezzati per la promozione, quando sei abituato a vincere ti viene più facile e noi avevamo gente che aveva già vinto, come Luppi o Iachini. Dal punto di vista societario trovo invece che oggi come allora ci sia una società sana e solida alle spalle”.

A proposito di società, questa sembra intenzionata a costruire qualcosa di importante, i contratti pluriennali ne sono una dimostrazione:

“Non la fanno i contratti lunghi la differenza, ma la programmazione, tante società hanno fretta di ottenere i risultati, uno degli esempi più eclatanti è il Milan, che ha cambiato tantissimo fino a quando non ha trovato Paolo Maldini, dirigente serio che sta ottenendo risultati. Magari lo Scudetto non lo vince, ma entra in Champions che era l’obiettivo primario. Penso che la programmazione di una società stia alla base di tutto, così puoi crescere con le idee di allenatore, con la continuità di rapporti, avere giocatori che capiscono negli anni il valore della piazza e della società stia alla base di risultati importanti che sono quelli che una società come il Venezia vorrebbe raggiungere”.

Ci dai un’opinione sugli attaccanti a disposizione di mister Zanetti quest’anno?

“Forte ovviamente è un discorso a parte. Sebastiano Esposito è uscito forse dall’Inter con un po’ troppe aspettative, si pensava fosse già pronto e invece non lo è. L’ho visto due volte quando era alla SPAL e col Venezia contro il Vicenza. Ha grandi potenzialità ma deve avere un approccio più cattivo, non mi ha mai dato l’impressione di essere uno che vuole azzannare l’avversario e fargli male, resta un po’ sulla giocata. Dal mio punto di vista può fare la prima punta ma non mi sembra che il ragazzo gradisca il ruolo, penso che invece un ragazzo giovanissimo se lo fai correre sulla traversa debba anche correre sulla traversa, tanto giochi in attacco, devi alternare i movimenti, se lui viene incontro devi attaccare la profondità non puoi venire incontro anche te. Però ha dei colpi e si vedono, insieme ai colpi ci dev’essere tanta voglia di sacrificarti, quando riuscirà a farlo diventerà un attaccante importante. Bocalon invece è un lavoratore dell’attacco, non fa tanti gol, ma lavora sporco, non si tira indietro quando bisogna lottare, non è punta da 20 gol, ma può darti una grossa mano ad aprire i varchi anche per lo stesso Forte perché attira i difensori su di sé mettendo tanta energia in campo. In questo momento servono tutti, ognuno con il suo contributo può mettere un mattoncino”.

Quest’anno ci sono squadre più attrezzate, ma grazie a mister Zanetti questo Venezia può giocarsela con chiunque, come lo vedi?

“Questo fa parte della programmazione della dirigenza, l’anno scorso il Venezia con Dionisi faceva un certo tipo di gioco, sono andati a prendere un allenatore dalla mentalità simile. Fino alla fine si giocherà la possibilità di andare in A, difficilmente può farlo direttamente perché trovo ci siano squadre più attrezzate, il Lecce per dire è più indietro ma è una super squadra, che ha molti più valori del Venezia. Il Monza ha preso tutto, l’Empoli viaggia sulle ali dell’entusiasmo. Tra due settimane commenterò Empoli-Venezia per DAZN, se per caso il Venezia dovesse fare il colpaccio a Empoli allora si aprirebbero altri scenari, ma l’Empoli è più strutturato, è una società abituata ad annate di A. Tolte quelle due squadre più attrezzate, il Venezia se la può giocare con tutte, poi c’è stata anche un po’ di sfortuna con gli infortuni di Lezzerini e Vacca, ma l’importante è che la squadra abbia reagito continuando a seguire le idee di Paolo Zanetti”.

Tra qualche giorno un Empoli-Venezia dove i Leoni potranno giocarsela serenamente tentando magari un colpaccio che stravolgerebbe alcune proiezioni:

“Se batti l’Entella non è del tutto vero che non hai niente da perdere, a Empoli avrai una grossa opportunità e penso se la giocheranno a viso aperto in ogni caso. Se batti l’Empoli entri in un giro vizioso di voglia, di sicurezza che potrebbe realmente portarti a fare un campionato diverso, quindi hai da perdere eccome. I giocatori del Venezia devono sapere che stanno facendo un grandissimo campionato per gioco e risultati, ma devono anche sapere che possono fare ancora meglio e devono di fare il meglio possibile, se il meglio possibile è andare a Empoli e cercare di vincere la partita allora bisogna cercare di farlo, anche se sanno che non sarà assolutamente facile”.

In questi mesi si è parlato di ristrutturazione del Penzo, che ricordi hai dello stadio?

“Le prime volte che giocavamo al Penzo ci dicevamo che giocavamo in una città che galleggia sull’acqua, dev’essere qualcosa di particolare andare qualcosa di particolare andare allo stadio in barca, sapere che se calci fuori dallo stadio molto probabilmente la palla finisce in mare, era tutto un po’ particolare. Logicamente faceva tutto parte della particolarità di squadra e città, tutti si lamentavano da fuori della barca da prendere e anche gli stessi tifosi che non sono abituati. Poi sai quando sei dentro al campo il resto non conta niente, ci sono i tuoi tifosi che ti incitano. La prima volta che tornai al Penzo rimasi la curva, mi sembrava più piccola e mi dissero che ne era stata tolta metà. Mi raccontavano che quando eri in cima la curva e si iniziava a ballare la curva si muoveva tantissimo, non era proprio solido diciamo. Mettere mano al Penzo sarebbe una cosa importante, anche se più che rifatto sarebbe da mandare in pensione per uno stadio in terraferma, ha sicuramente un valore storico incredibile, ci hanno giocato tanti pezzi di storia di calcio italiano, potrebbe restare come museo del Venezia, ma per il futuro uno stadio in terraferma sarà basilare”.

Durante quell’annata in B terminata con la promozione avevi un tecnico come Novellino dalla personalità particolare:

“Novellino era un personaggio molto particolare è vero, ma difendeva con molta convinzione i suoi giocatori, anche se in spogliatoio non sono mancate le parole grosse. Il bello del nostro spogliatoio è che tutto quello che accadeva rimaneva dentro lo spogliatoio e di cose ne sono successe. Spesso sono capitati contrasti anche tra il sottoscritto e l’allenatore, però tutto nell’interesse di quella stagione e nell’interesse della squadra, era una persona che accettava sicuramente il confronto e se c’era uno scontro duro accesso il giorno dopo lui si dimenticava tutto e si andava avanti, una volta chiarita la questione tornava tutto come prima. Di aneddoti ce ne sarebbero tantissimi, lui una volta si arrabbiò con un cameriere, si alzò e urlò “mi chiami il metrò!!” allora Dal Canto gli disse ‘mister se arriva il metrò scendo alla prossima’ ‘ma cosa stai dicendo’ ‘si chiama maitre mister!’. Era veramente una persona unica, l’anno scorso andai a vedere qualche volta il Perugia e uscimmo spesso a pranzo, ci sentiamo ancora”.

In quella stagione c’erano tante personalità forti:

“In spogliatoio di capitano ce n’era più di uno, Luppi caratterialmente era molto forte, ma così come lo era Iachini, che aveva tanta importanza nello spogliatoio, eravamo in 4/5 a tenere la barra dritta, ci si mandava a quel paese, si discuteva, però poi quando si usciva dallo spogliatoio era tutto finito e si riprendeva a fare quello che sapevamo fare meglio e cercavamo di goderci i momenti di libertà fuori dal campo insieme”.

Giocatore più forte con cui hai giocato a Venezia e fuori laguna?

“Nell’anno di Venezia giocatori forti ce n’erano tanti, ma quello che mi impressionava era Ciccio Pedone, giocatore che in campo aveva la sua importanza, sia con che senza palla. Uno dei più forti in assoluto che ha fatto meno di quanto io mi aspettassi è Roberto Stellone. Poi a Napoli giocai con Matuzalem, aveva 18 anni ma si vedeva che era forte. Però Stellone sì si vedeva che era un nove vero, un nove che lavorava bene col fisico, tatticamente c’era, avesse avuto la testa che ha adesso da tecnico avrebbe fatto un’altra carriera”.