Pedro Mariani: "Non c'è più identità e la squadra non ha una sua logica. Vanoli ha i requisiti, ma lo attende un'impresa ardua"

11.11.2022 18:38 di  Davide Marchiol  Twitter:    vedi letture
Pedro Mariani: "Non c'è più identità e la squadra non ha una sua logica. Vanoli ha i requisiti, ma lo attende un'impresa ardua"

L’ex capitano e storico giocatore del Venezia Pedro Mariani ha parlato ai nostri microfoni per fare il punto della situazione in casa arancioneroverde dopo lo scossone che ha portato Paolo Vanoli in panchina. Queste le sue parole. Puoi rivedere l'intera videointervista in calce.

La situazione in casa Venezia:

“Sono amareggiato. Intanto c’è da dire che questa crisi o depressione non va discussa tecnicamente, è figlia di una cosa che parte un po’ da lontano secondo me e che porta a viverla così. Venezia e Mestre insieme, l’ambiente tutto, risente di un cambiamento nel calcio che non ha ancora coinvolto tutte le società, perché magari non sono sufficientemente richieste. Però c’è un cambiamento globale, questa tipologia di investimento delle società lascia il tempo che trova perché non appartiene più al senso d’appartenenza e alle radici. La prima cosa che bisogna sposare è il mantenere il più possibili le radici e le tradizioni, tu vai a prendere qualcosa che non è tuo, è tuo per due, cinque, dieci anni, ma è della gente sostanzialmente. Noi allenatori, dirigenti, giocatori, passiamo, possiamo restare nel cuore della gente per le gesta. Io ho sempre vissuto dove giocavo, a Venezia mi immedesimavo nel logo, nello stemma, nei colori, in tante cose. Questo aiuta i calciatori, anche il meno bravo così riesce a dare qualcosa in più. Tornano al discorso iniziale, credo ci sia sotto un disinnamoramento legato non tanto ai risultati, è più legato a tutto il resto. Se prendi un campione di 2000 persone tra Venezia e Mestre ti parlerebbero non tanto di discorsi tecnici, quanto più dell’assenza di unione e di appartenenza sia nel gioire che nel piangere. Per cui è una crisi che era inevitabile. Il calcio alla lunga ti presenta il conto. Poi si ripercuote sull’aspetto tecnico, la squadra è lo specchio della società, se è una società è sanguigna, ha senso di appartenenza, si rispecchia in tutto ciò che riguarda la storia del club allora è già diverso. La gente ha voglia, e poi si può sfociare nel concetto di Superlega, di vincere o perdere, di mantenere le loro radici”.

Paolo Vanoli può riuscire nell’impresa di ribaltare la situazione?

“E’ un’impresa ardua. Io mi ero preso a suo tempo tre ragazzi vicino a me, erano Paolo Vanoli, Mirko Conte che veniva dall’Inter Primavera, e Servidei. Tre ragazzi alle primissime armi. Mi ascoltavano in tutto e oggi posso dire che sono stati bravi ad ascoltarmi. Oggi posso dire che mi hanno ascoltato e credo di avergli dato tanto, ho un ottimo rapporto con tutti e tre. Vanoli quando arrivammo eravamo al Baracca, arrivava dal Corsico, faceva il meccanico e ogni tanto giocava. Fece un provino mi chiesero di dargli un’occhiata. Finito il provino dissi di prenderlo immediatamente perché aveva il senso del lavoro, conosce il senso del dovere, del rigore. Paolo è un ragazzo straordinario, con voglia di imparare. Ha studiato, ha fatto la gavetta, è un gran allenatore e sono sicuro farà bene il suo lavoro. Tutto però deve combaciare, un allenatore va sposato appieno. Non so se lui si farà andare bene l’ambiente perché all’allenatore deve andare bene che piaccia o no, ma sono sicuro che, se conosco un po’ Paolo e potesse oltre gli aspetti tecnici fare altro sicuramente farebbe sentire la sua voce”.

La squadra è inadatta o vede proprio l’assenza di mezzi come dice la classifica?

“Sono dell’idea che una squadra che retrocede, se lavori bene con un programma e un progetto, spesso qua decantato e che in realtà non c’era altrimenti non sarebbe successo ciò che è successo, al di là della guida tecnica che può essere discutibile, può fare bene, dev’essere lì a giocarsela. Poi magari non ti riesce subito il ritorno in Serie A. Qua invece c’è stato proprio un tonfo, che denota una mancata appartenenza e programmazione, fatta di scelte giuste nei tecnici e insieme a loro nei giocatori da scegliere e nella tipologia di gioco da fare in prima squadra e in Primavera, in modo che un ragazzo che viene dalle giovanili sappia cosa deve fare. Questo è il lavoro di insieme e così la squadra che retrocede ne risente poco. Se una base non c’è ed è tutto legato al momento e alla situazione… bisognava farsi trovare più pronti, evidentemente è venuto meno non solo tutto questo ma anche qualche giocatore. La squadra non è all’altezza ma neanche merita i posti che sta occupando. Oggi da tifoso innamorato quel che più patisco è la mancanza di legame, poi magari ci si può disinnamorare, cambiano i direttori e i presidenti, ma in quei momenti che vivi devi essere legato, in questo momento si fa fatica ad andare allo stadio, ci andiamo con meno voglia ed entusiasmo, sono durissime le sconfitte e le poche vittorie non sono troppo belle. C’è molta virtualità, in questo momento siamo come il bambino che gioca alla Playstation perde, spegne e se ne va, non vive l’emozione vera che vivi sul campo quando perdi o quando vinci”.

Sul legame con la laguna:

“Vi ho parlato spesso del fatto che io abbia voglia di tornare a Venezia prima o poi. Avevamo accennato con Collauto e Poggi di venire al campo e di fare un giro di campo al Penzo salutando tutti, guardando tutti i tifosi negli occhi. Poi è successo quel che è successo è naturalmente è sfumato tutto. Non è che in futuro non farò una richiesta di questo tipo, però ora mi sento un po’ a disagio, non me la sento di chiedere a un personaggio che non conosco e che non identifico nella storia del club una cosa del genere.  Io con Poggi ho parlato al telefono ‘Ohi ciao vecio etc..’, qua invece cosa faccio una mail? La cosa brutta poi è semmai dovessero dirmi la ringraziamo per l’attaccamento me non è possibile… Se vengo mi compro quattro biglietti al Penzo e mi faccio il giro allo stadio da solo non è un problema, il problema è che nel sentirmi dire no poi ci sto male. Io ho ancora la maglia del Venezia addosso. Questo ve lo racconto perché secondo me fa capire quanto sta succedendo”.

C’è un problema per i tecnici legato alla mancanza di sinergia tra i giocatori?

“Zanetti secondo me ha fatto un errore. Paolo doveva percepire l’estate discorsa cosa stava succedendo, che poi porta a quanto ci stiamo dicendo, e lasciare Venezia. Lui è rimasto per amore, affetto, perché te la senti tua la squadra quando ha vinto un campionato, non c’è cosa bella che restare o cosa più brutta che, se sei calciatore, essere ceduto. Lui è stato tradito dalle emozioni e dall’attaccamento. Venezia in questo momento invece di camminare su una palanca dove camminano i muratori cammina su una corda tesa del circo, è tutto altalenante in bilico e in disequilibrio. Paolo Vanoli ha requisiti, è un animale sul campo e fuori, umanamente una persona serissima, ha abnegazione. Sono convinto sia l’allenatore giusto, l’unica mia paura è che lui lì non senta e avverta la venezianità addosso ma mi si senta come mi sono sentito io quando ho cercato di venire a Venezia. Speriamo che la società lo metta nelle condizioni di fare l’allenatore come sa, fermo restando che la squadra è stata costruita malissimo soprattutto a centrocampo. Dietro sono venute meno delle colonne, c’è da capire se non ne hanno più o se è per tutto quello che stiamo dicendo. In Italia abbiamo un sacco di giocatori, non è così complesso fare una squadra in Italia, anche senza essere Poggi o Collauto, poi è chiaro che condurre una squadra a un certo punto diventa più complicato, ma non ci vuole uno scienziato per capire che con questo centrocampo faresti fatica anche in Lega Pro. Poi in rosa ci sono giocatori che per questa categoria sono di livello, ma è difficile legarli, la gara con il Benevento in casa per me è stata emblematica, una squadra in difficoltà, un tecnico in grossissime difficoltà. Quando vai a fare la spesa ti devi scrivere cosa comprare e in casa devi decidere con gli altri cosa vuoi mangiare, se vai al mercato e poi devi telefonare a casa per decidere vuol dire che qualcosa non funziona. Devi anche sapere in che banchi andare, perché ci sono banchi costosi, banchi scadenti, devi saper leggere cosa stai comprando, con questa tipologia di società non puoi far più di tanto mercato in Italia, perché è tutto legato all’opportunismo e non alla programmazione”.

L’intervista di Busio, anche mal tradotta, fece molto discutere, con la questione brand al centro. Pohjanpalo è arrivato, ha mezzi importanti, si impegna, ma non incide comunque. Vedi un filo conduttore tra queste due facce della medaglia?

“Questa tipologia di mercato è legata molto alle opportunità, mi piacerebbe capire da dove partono questi acquisti. Sono così disparati, senza logica… ma non per il valore di questi ragazzi, ma per la logica nella costruzione. Ma ci sarà qualche ragazzo un po’ più adatto di questo Pohjanpalo? Quanti ragazzi anche giovani abbiamo in Italia? E’ una costruzione senza un filo. Talvolta può andarti anche di fortuna, ma alla lunga quando qualcosa non funziona è un castello in aria, si sgretola come nulla, per questo vi ho parlato di logica e costruzione in un progetto. Poi se uno è bravo all’interno di un progetto a far valere anche il commerciale ti posso dire solo bravo, ma se è tutto legato solo al commerciale allora non va bene. Oggi anche quando programmi e progetti tutto non è facile e non è detto che vinci, già così è complesso, figuriamoci poi in altro modo. C’è un grosso problema tecnico legato proprio alla costruzione di questa squadra e poi di identificazione. Se io ho undici ciucci che si identificano quegli undici ciucci diventano almeno tosti da battere, ma se alla base non c’è quello posso mettere chiunque. Io non amo molto parlare di me, ma noi lo abbiamo fatto, ci siamo identificati nella piazza come tante altre squadre. Le squadre più amate sono quelle che si sono identificati. Io quando vedevo qualcuno che non si identificava lo appendevo al muro, sia che si chiamasse Maiellaro che Vieri, ero il capitano. Lì c’è un capitano? Si identifica? Attacca qualcuno al muro? Non lo può più fare, perché poi vanno a lamentarsi con la società, ci sono i ruffianetti, si creano spaccature, c’è qualcuno a cui è concesso tutto, ad altri meno. Il potere va dato alle persone giuste. Oggi vedo una società che si è persa, smarrita, questa società e la piazza sono come due persone che restano legate ma non si amano più”.