ESCLUSIVA - Zaccheroni integrale: "Ricordi di Venezia incorniciati"

Diplomatico al punto giusto Zaccheroni, che da qualche anno lavora all'estero. Il calcio post Covid lo guarda da esterno... e non lo emoziona.
17.07.2020 15:58 di  Davide Marchiol  Twitter:    vedi letture
ESCLUSIVA - Zaccheroni integrale: "Ricordi di Venezia incorniciati"
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© foto di Alberto Fornasari

“C’è chi sostiene chi sostiene che il calcio dev’essere imprevedibile… questo è imprevedibile, quindi forse piace. A me attira poco se devo essere sincero". Diplomatico al punto giusto mister Alberto Zaccheroni, che ormai da qualche anno si è messo al lavoro in avventure più particolari, come quella in Giappone, in Cina o negli Emirati Arabi. Il calcio post Covid lo guarda da esterno... e non lo emoziona. Intervistato nel nostro consueto Talk Show dal direttore Davide Marchiol, Giuseppe Malaguti, Manuel Listuzzi, Alvise Osto ed Ernesto Bozzo, il tecnico ci ha dato quello che è lo Zac pensiero: "Ho fatto il calciatore a livello solo dilettantistico, la mia passione è più legata alla Serie A, all’evento che si crea, pubblico compreso. Senza pubblico mi piace veramente poco. Poi da appassionato di calcio sono curioso, quindi vado a guardare come sono messe in campo le squadre, come giocano certi calciatori, ma per il resto sono poco attirato. Le squadre mi stanno colpendo in negativo, a parte l’Atalanta dove c’è Gasperini che sta continuando a fare un ottimo lavoro, riesce a coniugare risultato sportivo con il bilancio. Mi ricorda l’Udinese? Sì, ma un po’ tutte le squadre senza un magnate dietro, anche in B e in C dovrebbero lavorare così. Però non si fa, i presidenti spesso vogliono tutto e subito, costruendo squadre magari basate su calciatori che scendono di categoria. Così non costruisci. Le mie tre parole chiave sono tre: costruire, costruire e costruire. Non costruisci con il ritorno di Ibra, pur apprezzando un giocatore che per quanto incide un pallone d’oro l’avrebbe dovuto vincere. Adesso invece ogni anno si cambiano tecnici, giocatori, poi per arrivare all’obiettivo prendi un Ibra. Però così non costruisci. Ho sempre scalato le categorie senza fare balzi, partendo dall’ultima, dovevo vincere per salire. L’esperienza mi ha insegnato che bisogna costruire. Solo il Verona sta seguendo il modello Gasperini. Anche il Sassuolo, ma un pochino meno perché De Zerbi lavora più sulla squadra che sul singolo, io lui l’ho avuto in ritiro col Milan, lo conosco. Gasperini e Juric mi sembra lavorino molto di più sul singolo giocatore, De Zerbi lavora più di squadra, che secondo me viene dopo perché conta di più le qualità del singolo, trovargli la collocazione ideale affinchè si esprima meglio nel contesto di squadra, perché comunque si vince di squadra, mai da soli. Però più singoli riescono ad esprimersi al massimo più è facile creare una squadra”.

Quanto conta il presidente in una squadra? “Il presidente in una squadra conta tantissimo, mi deve comprare i giocatori (ride ndr). Se mi segue conta tanto, io però ne ho avuti di tutti i tipi e devo dire che mi hanno sempre assecondato poco e niente, anche perché difficilmente pretendevo di comprare Tizio o Caio. A parte che sono quasi sempre subentrato tranne rari casi come Venezia e Udinese. Quando si subentra si vuole l’impronta subito dell’allenatore, ma questo non è possibile, torniamo a quello che abbiamo detto all’inizio, il costruire, anche da subentrato. È complicato però, perché lavori sulle basi messe da un altro tecnico, se parliamo di come si costruisce una squadra stiamo un mese. Ci sono delle cose che sembrano semplici dettagli ma non lo sono. Lo zoccolo duro italiano per esempio spesso fa la differenza, quei due-tre legati ai colori devi averli. Io per esempio al Milan avevo Costacurta, Maldini e Albertini, erano quelli che comunicavano agli altri che aria si respirava al Milan. Nella Juventus di oggi ci sono Chiellini, Bonucci e Buffon. Nelle squadre da alti e bassi probabilmente mancano questi due tre giocatori che fanno da ammortizzatori, solo il tecnico non basta”

Il rapporto con il presidente Zamparini a Venezia. Grandi cose, ma anche qualche piccola frizione:  “Io a Zamparini gli devo dire grazie, perché da due campionati vinti con il Baracca Lugo mi ha portato a Venezia e mi ha ascoltato. Non ho chiesto profili particolari, avevo chiesto di prendere giovani e mi prese sei giocatori dalla C2, quelli che ci hanno dato la spinta sono stati i nuovi arrivati. L’allenatore deve gestire i giocatori che gli vengono messi a disposizione, poi può suggerire giocatori, non vecchi perché si deve mettere anche nei panni della società, funzionali al progetto della squadra. In tutti i miei anni delle categorie inferiori allenavo dal martedì al venerdì,  il venerdì pomeriggio mandavo a casa i giocatori e gli dicevo “ci vediamo domenica mattina” e il sabato mi andavo a vedere le partite della Primavera e mi creavo una mappatura dei giovani migliori sulla piazza, questo era il mio lavoro per costruire e non far spendere soldi alla società. Poi a Zamparini spesso scatta il tic, lo sappiamo, e va a prendere il grande nome. Ricorderete - continua il mister - quando andò a prendere Maiellaro che era tre mesi fermo. L’ingaggio era pesante, la Fiorentina se ne voleva liberare, e lui mi prendeva quanto tutto il resto della squadra messo assieme e questo sbilancia tutto. Io gli chiesi un centravanti quando eravamo sopra le aspettative, uno che aiutasse a buttarla dentro, tipo Campilongo. Allora quando stavamo andando verso la vetta arrivò da me abbracciandomi e ringraziandomi e mi disse “le ho preso Campilongo”, “ooh grazie presidente, però mi ha preso anche Maiellaro”, lui era così, i Rizzani, i Bertoni, i Filippini, Roberto Rossi che chiesi io dal Gubbio che non lo confermava in C2, così siamo riusciti a costruire una squadra che penso abbia dato soddisfazioni. Il Como quando lo affrontammo nello spareggio per la B era forte, voi forse non la ricordate, era uno squadrone da battere. Noi in campionato nelle ultime tre giornate eravamo in promozione diretta, i giocatori non volevano rischiare, io invece me la volevo giocare e una per questo l’abbiamo persa andando allo spareggio. Però allo spareggio è stato comunque bello, eravamo a Cesena poi, casa mia. Non solo, pochi giorni prima Zamparini venne da me e mi disse “mister non si preoccupi di come andrà, dopo lo spareggio io e lei saremo a Udine”, però qualcosa dev’essere andato storto perché non ci andò lui così come non ci andai io (ride ndr). Mi pare non si presentò Pozzo all’appuntamento col notaio, fatto sta che io fui in panchina per quello spareggio sapendo che pochi giorni dopo sarei andato altrove”.

Nella stagione 1992-1993 la squadra tecnicamente era molto forte: “Noi quell’anno dovevamo andar su. Se Zamparini non ci avesse messo le mani saremmo andati su. Però il presidente ha tanti consiglieri che fanno i propri interessi. Il presidente seguendo i loro consigli fece l’aggiunta che vi dissi rompendo un po’ tutto. A me il presidente non ha mai detto nulla, tutto quello che si dice non è vero, lui quando comunicava lo faceva con i giornali. Io misi fuori Maiellaro, prima della sfida con il Piacenza allora Zamparini al giornale disse “O Zaccheroni fa giocare Maiellaro domenica o…” io ovviamente non lo feci giocare anche se lui lo aveva reintegrato, perdemmo e lui mi mandò a casa. Quello che non si sa è che lui ti caccia su consiglio degli altri, poi la notte ci ripensa e ti chiama “mister ci ho ripensato, lei domani torna”, fece così entrambi gli anni, io tranne che una volta gli risposi sempre “no guardi io non torno”. Ero molto criticato poi dai giornali perché difendevo a zona, perché secondo loro a zona in C non si poteva marcare, sembrava fosse una questione di categoria. Un’altra difficoltà ancora era la curva, un gruppo gridava forza Unione, l’altro forza Venezia. Misuravano sui cartelloni e sulle maglie quanto verde e quanto arancione c’era, se c’era più uno o più l’altro scoppiava un macello”.

Senza Zamparini sarebbe rimasto a Venezia più di tre anni? “Quando me ne sono andato il mio ciclo con Zamparini era finito perché era diventato ingestibile. Con un altro presidente sì si sarebbe potuto continuare, perché avevamo costruito uno zoccolo duro importante. Tant’è che il Venezia qualche anno dopo in A ci è arrivato davvero. Però lui lo conoscete, non lo cambi, oggi penso sia uguale a quella volta, anche se è da tempo che non lo sento. Gli sono grato perché mi ha dato occasioni importanti. Ci sono troppe persone intorno a lui, sulla parte aziendale non ha problemi, su quella tecnica… forse gli sfugge un pochino. In panchina l’ho avuto con me una sola volta, dopo due minuti per la tensione se n’è andato. Anche allo spareggio lui era nei giardini dietro lo stadio di Cesena a giocare a carte perché non aveva il coraggio di guardare. Forse ha anche seguito la squadra ogni tanto in tribuna, ma io non l’ho mai visto. Poi gli piaceva anche portarmi in giro, arrivava qualche giorno prima e diceva “ah domani a sorpresa prendiamo il mio aereo, facciamo una sorpresa a tutti e li buttiamo tutti fuori”. Gli piacevano queste cose”.

Però senza il lavoro di Zamparini comunque certe piazze non sarebbero forse risorte dalle ceneri: “Senza Zamparini però non so sia il Palermo che il Venezia sarebbero arrivate in A. Ricordo il mio periodo, quando siamo andati in B la categoria mancava a Venezia da 24 anni, sono cose da tener presenti. Poi chiaramente con uno più tranquillo sarebbe meglio, che costruisce come voglio. Lui quando mi cambiava era perché c’era qualcuno che lo consigliava che aveva interessi diversi. Lui metteva sempre due o tre figure in contrapposizione tra di loro, per essere informato su quello che succedeva. Secondo me la figura che aveva ragione era l’ultima che lo chiamava prima di andare a dormire. Quello aveva voce in capitolo”.

Questione stadio, se ne discute tanto, che idea si è fatto? “Se fossi io il presidente io vorrei giocare nell’isola, c’è un fascino unico lì, il motoscafo c’è solo a Venezia. Io vivevo a Mestre, il tramonto su Canal Grande è unico, ci abbino anche altre cose oltre alla partita e quello che c’è a Venezia c’è solo a Venezia. Puoi dire di aver giocato al Bernabeu, a Wembley, a San Siro, ma Venezia è unica”.

Il 3-4-3 la grande invenzione arrivata in Juventus-Udinese 0-3: “Quel modulo lo stavo già provando, un allenatore professionista non può conoscere solo i dettagli di un sistema di gioco. Le squadre vanno costruite sui giocatori più qualitativi, quindi se ne hai due o cinque quelli li devi mettere al loro posto e poi costruisci la squadra inserendo giocatori funzionali che facciano il lavoro sporco negli altri ruoli. Il giocatore di qualità ti può dare quantità fino a un certo punto, se hai solo quelli i campionati non li vinci, si vince sempre in undici. Noi italiani siamo maestri di tattica e all’estero lo dimostriamo con i Capello, gli Ancelotti, i Ranieri e i Mancini che hanno vinto senza impiegare tempo. Noi sul piano tattico abbiamo una cultura superiore agli altri, ma solo le conoscenze tattiche non bastano per vincere, oltre alle conoscenze tattiche bisogna buttarla dentro, fare gol. La tattica ti aiuta più a difendere che fare gol, poi devi essere bravo a far sì che gli attaccanti possano segnare. Le mie fortune sono sempre state i giocatori giovani, quando mi prendevano i ragazzi dalla C io gli davo l’occasione della vita e loro davano tutto in campo. A Udine per esempio Bierhoff, Amoroso e Poggi non potevano rientrare più di tanto e quindi gli altri facevano il lavoro sporco. Al Milan Leonardo con la pubalgia cronica si poteva allenare solo in palestra e durava 45’, Boban aveva un ginocchio malandato… Loro due e Donadoni dopo aver giocato con me hanno smesso, ma perché non ne avevano più e io cercavo di non fargli spendere. Il presidente che avevo al Milan - prosegue Zac - diceva “ma lui non è mica a posto, difende solo con tre uomini”, io il secondo difendevo anche con duecento difensori se serviva. Però se gioco con tre attaccanti devo avere quattro centrocampisti che non dovevano difendere, dovevano solo supportare gli attaccanti, anche nella squadra di Zeman gli esterni rientravano. Da me non dovevano rientrare quelli davanti, gli sparavo. Bierhoff poi ne faceva 26. Amoroso 15 e Poggi altri 10 e con il lavoro degli altri riuscivi a fare risultati”

Si è sentito sottovalutato dall'Italia visti i risultati che è riuscito a ottenere? “Ci sono dei club dove ci sono dei giocatori che hanno fatto la storia e che magari però iniziano a far fatica e diventa difficile dirgli che dovevano ridimensionare il loro minutaggio, quindi qualche volta qualche problema c’è stato. Però quasi con nessuno alla fine ho avuto problemi reali. Anche Zamparini non mi ha mai detto cosa dovevo fare, lo ha fatto solo con i giornali. Quindi da giocatori e presidenti non mi sono mai sentito sottovalutato. Se penso poi che ho avuto una carriera da giocatore in interregionale mi posso considerare una situazione anomala nel calcio. Da allenatore ho fatto la gavetta e ho ottenuto ottimi risultati. Non ho mai accettato compromessi, è per questo che non ho mai avuto agenti o intermediari,  io ci mettevo la faccia con la squadra e per la squadra, io sono il garante della squadra. Poi chiaramente devi fare delle scelte. Mandare via Bosaglia - ricorda il tecnico - da Venezia era un colpo al cuore, però c’era Bianchetti che andava decisamente meglio e quindi a Cesena in trasferta misi Bianchetti, si rendevano conto tutti anche in allenamento che dava più garanzie. Ci sono poi forzature che devi fare per avere qualcosa in più, quella dell’Udinese contro la Juventus è stata una forzatura. La nostra chiave era che non accettavamo l’uno contro uno, cercavamo di andare sempre uno sopra, gli altri quando ci hanno copiato spesso alla fine difendevano in cinque, però così ti mancano gli uomini negli altri reparti. La mia idea sostanzialmente era una novità, non si faceva altrove, l’unica cosa simile era il Barcellona olandese, che però in mezzo faceva rombo con Amor, Guardiola, Nadal e Bakero. La mia era un’idea nuova data dall’esigenza di far convivere tre giocatori, ma come tutte le idee nuove non fu semplice far passare l’Udinese dal 4-4-2 al 3-4-3. Decidemmo di usare il secondo modulo solo in svantaggio, puntualmente recuperavamo, ma c’era sempre l’alibi per non usarlo dall’inizio. Quindi se la forzatura non l’avessi fatta con la Juventus mi avrebbero buttato a mare. Per non rischiare di prendere tanti gol, perché la Juventus era una schiacciasassi in quel momento, i giocatori ci provarono e andò bene”

Che ricordi ha della città dopo la festa per la risalita in B? “Io dopo la salita in B ero fuori di testa per la soddisfazione, venivo da campionati vinti nelle categorie inferiori, ma vincere a Venezia col suo fascino è un’altra cosa. Però io non riesco comunque a godermi fino in fondo i successi, dopo la vittoria nello spareggio pensavo già a costruire la squadra. Poi chiaro, la festa da Piazzale Roma, sul Canal Grande, accompagnati dalle gondole, con la nave dei dogi fino a piazza San Marco è qualcosa che non ti fanno dappertutto. Nelle grandi la festa neanche te la fanno, i ricordi di Venezia sono incorniciati. Vivo a Mestre e due volte a settimana andavo a Venezia, andavo alla Bissuola e a Piraghetto, poi andavo alla trattoria Vittoria e mi facevo la passeggiata a Venezia. Ho sempre viaggiato senza famiglia, il calcio è così, perdi due partite e vai a casa, quindi volevo che mio figlio facesse la scuola bene e con continuità”

Come è arrivata la proposta dal Giappone? “La proposta del Giappone è arrivata a sorpresa, non avevo molta intenzione di allenare all’estero, però dopo la Juve in Italia non volevo più allenare. Mi hanno chiamato, mi hanno chiesto “possiamo provarci?” io in quel momento avevo il piede già sull’aereo, senza sapere nulla del Giappone. Ho trovato poi giocatori veri, che davano tutto, è stata una bella esperienza. L’incontro con l’Imperatore? “L’Imperatore del Giappone riceve 2500 persone all’anno in estate, tutte insieme, quando andai da Fazio la cosa fu presentata come un evento unico ma in realtà è una cosa meno clamorosa di quella che dipinsero. L’Imperatore riceve tutti coloro che durante l’anno hanno dato lustro al Giappone, al suo arrivo il ciambellano gli fece segno che c’ero io… lui scatta velocemente e mi porge la mano, solo che in Giappone regola vuole che non si dia la mano all’Imperatore quindi io ero anche un attimo bloccato perché non sapevo bene cosa fare. Gli diedi la mano e intorno a me scoppiarono tutti a piangere”