Lode a Paolo Vanoli
Ricordo bene il momento in cui arrivò Paolo Vanoli sulla panchina arancioneroverde. Sembrava l’ultima scelta dopo il rifiuto di altri allenatori ben più noti. Probabilmente lo era. Ma se tutti prima di lui avevano rifiutato un motivo c’era. In quel momento il Venezia aveva raccolto 9 punti in 11 partite e raschiava il fondo della classifica, la squadra era moralmente distrutta e sulle gambe, il rapporto tra la tifoseria e la società toccava probabilmente il suo punto più basso, con presenze allo stadio che non superavano le 3.000 unità. Qualcuno però parlava ancora di Serie A.
Molti in una situazione del genere non volevano immischiarsi, e come biasimarli. Ma Paolo, in un atto forse di incoscienza o forse di semplice riconoscenza verso i colori che lo avevano lanciato nel calcio professionistico, accetta.
Dalle prime conferenze, dai primi incontri a quattr’occhi con i tifosi il mister è decisamente chiaro, convincendo tutti che l’obiettivo era cambiato e che la salvezza sarebbe stata il nostro scudetto. Dice che metterà anima e corpo per provare a cambiare le cose, sia dentro che fuori dal campo.
In un primo momento convince anche i giocatori, dando quel cambio di marcia che tutti si auguravano. Ma non appena arrivano le prime difficoltà, vecchi fantasmi tornano a galla in un gruppo di giocatori che solo pochi mesi prima avevano assaporato l’idea di giocare a San Siro e che ora si ritrovavano a perdere in casa contro il Sudtirol senza mai tirare in porta, senza riuscire a spiegarsene il motivo. Tocchiamo nuovamente l’ultima posizione e tutto sembra apparecchiato per un clamoroso doppio salto.
Ma Vanoli non ha intenzione di mollare.
Chiede ed ottiene un DS, accetta di farsi cambiare quasi interamente la squadra a sette giorni dalla fine del mercato invernale, perdendo molti prezzi pregiati in cambio di giovani speranze. L’acquisto di punta è Mato Jajalo, il tanto agognato regista che mancava a questa squadra.
Con Mato in campo la musica sembra cambiare, tutti giocano meglio, i giovani acquisiscono autostima e Pohjanpalo inizia a segnare. Ma la magia dura solo 3 partite. Durante la partita con il Cagliari esce per un dolore al ginocchio, niente di serio rassicurano nelle ore successive, ma il “nulla di serio” in tre giorni si trasforma in un incubo: rottura del crociato e stagione finita. Tutto sembra suggerire che quando una stagione inizia storta, continuerà e finirà storta.
Ma Vanoli non molla.
Responsabilizza Tessmann, scopre uno straordinario Ellertsson che corre per tre, alterna Milanese e Andersen, non smette mai di credere nelle potenzialità di Magic Johnsen, anche quando il norvegese fa perdere la pazienza un po’ a tutti. Il lavoro in campo è sostenuto da un altrettanto importante lavoro fuori dal campo: ricompatta la piazza, organizza in prima persona allenamenti aperti, promette ai tifosi il sudore fino all’ultimo secondo e li richiama continuamente riconoscendone l’importanza. Il suo Venezia ingrana, vince partite sporche e a tratti gioca anche un buon calcio, ma la cosa che tremendamente cambia è che in campo torna a vedersi un gruppo unito, con un obiettivo comune e che gioca alla morte per raggiungerlo. Se il tifoso vede questo allo stadio ci va più volentieri e il Penzo torna a riempirsi, diventando il dodicesimo uomo in partite difficili come Como e Palermo. Ma l’apoteosi arriva contro il Modena: record di presenze allo stadio, sonoro 5-0 e salvezza aritmetica che arriva solo sei giorni dopo grazie al punto col Cosenza.
La situazione si ribalta, ora anche Vanoli chiede ai suoi ragazzi di sognare, perché i playoff sono lì, mai così vicini. Più che un sogno, però, grazie al suo lavoro ora possono essere considerati un obiettivo. Impensabile fino a poco tempo fa.
Ma il tecnico è un martello e non sembra avere intenzione di fermarsi: “il processo non è finito, a giugno altre cose da sistemare”. Quasi una dichiarazione d’amore, un amore che lo stesso Vanoli sembra confermare proseguirà.
Un Vanoli tuttofare, che non vuole di certo fermarsi sul più bello.
Lode a te, Paolo Vanoli.