"Storia di un'Unione", la quarta puntata è con Andrea Kaos
Per il quarto numero di “Storia di un’Unione” è arrivato il momento di fare due parole con Andrea Vianello, per tutti il Kaos.
Allora Andrea, cosa ci racconti di quel lontano 1987?
Alle prime indiscrezioni sull’eventuale fusione ricordo di una pioggia di insulti tra le due fazioni ed anch’io all’inizio facevo fatica ad accettarla, essendo nato a Trieste non avevo una gran simpatia per i veneziani del centro storico, con quell’aria di superiorità che da sempre li contraddistingueva. Ma è stato piuttosto semplice, devo dire, superare questi pregiudizi conoscendo a fondo alcuni di loro e creando delle amicizie che ben presto si son trasformate in vere fratellanze; alla fine vivevo molto più tempo con loro che in casa, abbiamo condiviso veramente tutto, lacrime, risate, sogni. Ci sentivamo partecipi di qualcosa di speciale.
Nell’87 saltai la prima trasferta ma alla seconda in casa vidi per la prima volta lo striscione “Rangers” fatto da un ragazzo di Venezia, quasi completamente neroverde con piccoli spunti di arancio. Poi uscì anche lo striscione “Kaos”, a pochi giorni dalla nascita degli Ultras Unione. Ci trovammo infatti subito dopo nel bar che era sede dei fedelissimi del Mestre, in quel momento c’ero io, Frizzo e suo fratello, Franz, Pippo Bocalon, Checco un ragazzo mancato purtroppo in America, Chicco Cambogia, più ovviamente Fabio Maggio ed il fratello che poi passò alla Vecchia Guardia, e decidemmo così di fondare insieme un nuovo gruppo. Facemmo quindi in officina da Franz lo striscione con sfondo bianco ed il Flinstones disegnato, fu Bellotto a farlo, prima che tornasse a tifare Mestre.
Iniziammo presto a farci rispettare in tutta Italia, anche perché eravamo realmente una cinquantina di “delinquenti”.. ricordo quella volta di Bari in 47 quando scoprimmo che il treno era stato annullato causa sciopero; decidemmo così di chiamare al volo una ditta di pullman pagando 5 milioni di lire; erano sacrifici ma avevamo uno scopo, era diventata la nostra vita. Alle prime trasferte ci trovavamo sempre ai primi due binari della stazione di Mestre; al binario 1 arrivavano sempre i triestini di passaggio per le loro partite mentre il nostro partiva dal binario due, soprattutto per le trasferte in Toscana e centro Italia; ogni volta partivano delle risse, ma eravamo praticamente diventati amici perché poi ci mettevano entrambi sullo stesso treno, divisi solo dalla Polfer che non ne poteva più di una situazione paradossale in cui ci menavamo ma poi stavamo insieme tutto il tempo. Momenti divertenti ed indimenticabili, c’era chi andava a divertirsi in discoteca, noi amavamo solo quella vita invece, sempre a difesa dei nostri colori, ovunque. Licata, Acireale, Palermo, Catania, trasferte memorabili in cui costruimmo la nostra storia, il nostro futuro e la nostra identità. E tutti i discorsi sulla rivalità, tutto ciò che era stato prima del 1987 sparì, ci siamo accettati completamente a vicenda, eravamo la stessa razza, non esisteva differenza, solo un ponte di distanza. L’ultima volta che esponemmo invece lo striscione storico degli Ultras Unione fu al funerale di Cecca.
Qual era il tuo obiettivo a quel tempo?
Io personalmente ho fatto tutto ciò esclusivamente per portare in giro il colore arancione per il paese; dopo la fusione fui infatti orfano del mio Mestre, ed adesso lo riconoscevo e lo onoravo nell’arancio del nuovo tricolore, per cui chi parla di tradimento, di incoerenza, mi fa solo ridere perché siamo stati noi i soli che hanno protetto e difeso quella società che adesso non esiste più. Credevamo nel VeneziaMestre, amavamo quel nuovo progetto, ma io Ottorino, Franz, Fedele, Frizzo e gli altri difendevamo soprattutto l’identità del nostro Mestre. Ed è per quello che poi con Zamparini ci furono rapporti piuttosto tesi quando la questione colori non era abbastanza equilibrata. Adesso che per motivi di causa maggiore frequento la curva del basket Mestre vedo come sia composta da tutti coloro che non accettarono la fusione, e di conseguenza anche me all’inizio, ma ricordatevi che anche loro dovrebbero ringraziarmi per aver mantenuto il loro Mestre nei colori arancioneroverdi, per averlo difeso fino ad oggi.
Cos’è che vi dava la forza di portare avanti questo progetto?
Il nostro orgoglio era poter urlare il nome delle nostre città per il paese, avevamo questo grande sogno chiamato Ultras Unione e nel mondo ultras ci sono delle leggi non scritte, e la più importante è non far mancare mai lo striscione ovunque si giochi, e noi lo facemmo persino in Inghilterra col Wolverhampton in anglo italiana, loro vennero in 200 qui al ritorno, mentre noi in 5 o 6 con lo striscione ultras con i due leoni fatto da me e Franz. Facevamo uno striscione ogni notte a quel tempo.
Ci racconti del mitico spareggio di Cesena?
Organizzammo due treni da sedici vagoni ed ottanta pullman con il centro coordinamento che in realtà non è che funzionasse granché. Cesena deve ringraziare il cielo che abbiamo vinto, perché l’atmosfera era veramente carichissima e già prima del match mettemmo a soqquadro la città, non oso immaginare che sarebbe successo se avessimo perso.. ricordo che io non vidi il rigore per la tensione, e da lì in poi non saltai praticamente mai una trasferta, tranne dopo le diffide..
E come vissi il ritorno al nome Venezia?
Il nome Venezia era più simbolico, sicuramente più vendibile e ce ne rendevamo conto, ma per noi ormai non aveva più così importanza, fino a quando i nostri colori sarebbero stati rispettati. Mi dette fastidio chiaramente ma la verità è che se non c’eravamo noi a difendere Mestre ed il suo arancione probabilmente saremmo tornati ben presto al neroverde. E’ per questo che la cosa che più mi infastidisce è quando ci espongono con i colori neroverdi, come talvolta accade sugli schermi fuoricasa, o nelle righe dei giornali, quello lo trovo una mancanza di rispetto per tutto ciò che abbiamo creato. Che poi per noi è sempre stato solo arancioverde, essendo il nero il colore in comune tra le due ex realtà calcistiche.
Poi cosa accadde?
Quando finì l’epoca degli UU entrai a far parte dei Vecchi Ultras, ma me ne andai perché si iniziava a portare la politica allo stadio ed io, nonostante tutto ciò che si dice, non avevo nessuna intenzione di permetterlo. Nacque così la Curva Sud VeneziaMestre con Castagna e Dal Bello, gente con vera mentalità Ultras e la nostra bandiera a croce arancioverde, fatta con la tenda di mio nonno triestino, è tuttora la più antica che c’è al Penzo.
Ma il vostro obiettivo rimase lo stesso?
Il nostro scopo era aggregare la gioventù, e ci stavi male quando la squadra non andava o peggio falliva. Tutto si faceva più complicato, quasi come ricominciare da zero. Ma era la nostra missione, come quella volta che dormii con Collauto in sede perché aspettavamo una chiamata dal presidente per sapere se eravamo salvi o meno, andò male ed io dormii una notte con la coppa Italia quella settimana prima di restituirla alla nuova società. Vedi, noi portavamo avanti questo ideale, quell’arancione, provavamo una rabbia ed un orgoglio incredibile nel gridare il nome VeneziaMestre per il paese, ci sentivamo i protettori di un’ideale, avremmo fatto di tutto per questo. Adesso non so se i ragazzi che seguono l’Unione si rendano conto di ciò che significa, se hanno questa passione e questo rispetto. Anche se sono tanti ultimamente e questo è importante. Ma sono certo che comunque tutti sappiano che son cresciuti con e grazie al VeneziaMestre ed i colori arancioneroverdi.
Avresti qualcosa da suggerire alla società in questo momento?
Son spesso stato assente causa diffida ma la società mi ha interpellato diverse volte per dei consigli. Mi chiedevano come portare più gente allo stadio per esempio. Adesso gli direi per cominciare di fare un po’ come il presidente del Mestre che regala una bandiera o una sciarpa ad ogni abbonato; facciamolo anche noi, portiamoli ad affezionarsi, a farli sentire parte di qualcosa di così bello. Quando eravamo in 1000 sotto la pioggia meritavamo una medaglia, adesso invece si potrebbe veramente costruire un’identità più solida con così poco. La differenza con le piazze come Vicenza o Verona è proprio perché lì i nonni son nati con la Lanerossi, a Verona hanno vinto uno scudetto, mentre noi no, noi abbiamo realizzato un sogno che sembrava irraggiungibile. Ora i giovani hanno una vecchia guardia dietro di loro, qualcuno che gli ha aperto la strada, mentre noi eravamo tutti ragazzi, non avevamo nessuno che ci potesse consigliare, noi ci siamo fatti le ossa da soli. A Treviso in 3500, a Cremona in due mila, il corteo a Piacenza in 700, sono cose memorabili che i ragazzi giovani non hanno visto; il nostro potenziale è enorme e devono saperlo, non accontentarsi. Noi non abbiamo la storia del Vicenza ma la stiamo costruendo, i più giovani hanno visto solo casini in curva ma nonostante ciò vanno avanti e ci credono. Servirà tempo per diventare come le grande piazze ma tutti i gruppi ultras d’Italia sanno che siamo il VeneziaMestre. Tutti ci fanno i complimenti perché siamo riusciti a creare questo grande sogno, siamo stati talmente testardi da credere in noi stessi, riuscendo a realizzare qualcosa di veramente unico. Ed adesso tutti i gruppi che nascono sono arancioneroverdi, non esiste più la nostalgia neroverde, questa è la realtà. Da Chioggia venivano con noi cantando Unione, i veneziani sanno chi siamo, i mestrini lo sanno, oramai i nostalgici per fortuna sono rimasti pochissimi. Ci son voluti 36 anni, io non ci avrei creduto di riuscire a raggiungere un tale successo, pensavo che sarebbe finito prima.
Un consiglio per chi gestisce la curva in questo periodo?
Ho sempre pensato che fosse fondamentale far conoscere a chi gioca o allena per la nostra maglia la nostra storia, le nostre battaglie, l’ideale di due città unite ed indivisibili. L’ho fatto con Inzaghi, con Zenga e Favarin, non so se le nuove leve facciano lo stesso, ma mi sento di consigliarglielo per far respirare a pieno il peso della nostra passione.
Hai invece qualcosa da dire ai mestrini che non si sentono abbastanza rappresentati dai colori arancioneroverdi?
Guarda, Serena, il presidente del Mestre, tentò di portar via i tifosi dalla sud che più si riconoscevano nei colori della terraferma, e qualcuno ci andò, come il Mago, gente che poco prima innalzava striscioni come “fegato alla veneziana” e che poi passarono di là; io piuttosto smetterei per sempre col calcio, ma come si può tradire un’ideale in questo modo? Non hai trovato l’identità, il tuo posto. Noi invece si. La nostra storia inizia nel 1987, il vecchio Venezia e il vecchio Mestre non esistono più, i mestrini che tifano una squadra ed i veneziani che giocano ogni settimana in un posto diverso e credono di essere i portatori della coppa Italia del 1941, devono capire che ormai la gente sta crescendo con l’Unione, questo è il nostro futuro. I vecchi ancora faticano a riconoscersi, ma i giovani stanno venendo su con il VeneziaMestre. Una città unita alla sua squadra.
Qualche cartolina del passato?
Tra i ricordi più particolari ci fu quella volta nel derby col Padova in cui lanciammo delle galline in campo, dopo averle fatte fumare.. o quell’anno in cui Maiellaro a Bari non ci volle dare i biglietti perché giocava nella sua città e ci mancò di rispetto rispondendo ad una domanda su di noi con un “ma i tifosi del venezia c’erano?”, inutile dire che gli costò una stagione di insulti.. Ma pure a Cosenza ospiti di padre Fedele che ci invitò alla mensa dei poveri che non la presero benissimo.. Poi le amicizie più importanti come Pino da Pistoia degli 1982, a Modena fratelli come Mauro e gli altri che mi stettero a fianco tre giorni interi dopo la morte di mio papà a casa mia.
C’è qualcuno a cui sei rimasto particolarmente legato?
Ottorino è la storia, prima tifoso del Mestre e poi sempre presente. Maggio un grande punto di riferimento; Michelone, Fedele, Franz, Frizzo, Chicco Cambogia, tutta gente che quando guardi respiri la nostra storia. Abbiamo creato due volte la curva da zero. Nel 1987 e dopo il fallimento, quando eravamo in 4. Siamo stati la cerniera che ha portato avanti quell’ideale, contro tutto e tutti. Con la forza della disperazione, ma era una ragione di vita. Ultras non è una moda, con gente completamente tatuata di arancioverde che dopo due anni abbandona; io morirò ultras, la mia vita è dedicata al VeneziaMestre.