Ma quindi, chi ha venduto Mazzocchi?

28.02.2022 11:17 di  Manuel Listuzzi   vedi letture
Ma quindi, chi ha venduto Mazzocchi?
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Another world is possible.

Mentre il mondo viene sconvolto dall’ennesima testimonianza della pazzia della razza umana, sotto gli effetti di un virus che mi rende quasi totalmente afono, e con il morale a pezzi dopo l’incresciosa prestazione del Bentegodi, cerco di trovare ancora una volta un briciolo di serenità attraverso qualcosa che ai più apparirà come un’eresia, la mia passione, che nonostante tutto si chiama ancora VeneziaMestre. Chiariamoci, sono il primo a comprendere in un momento talmente drammatico la superficialità delle mie emozioni, la leggerezza che bisognerebbe attribuire a quello che resta fondamentalmente un gioco. Ma proprio mentre soffiano forti e terribili i venti di guerra dall’est, mi rendo conto di come le passioni siano la forza trainante di una vita che merita di essere vissuta, l’appiglio al quale aggrapparsi quando il mondo torna a farsi cupo e spaventoso. Ed allora proviamo a sognare insieme il futuro della nostra squadra, proviamo a tracciare la parabola di questo progetto che settimana dopo settimana sembra sempre più proiettato verso l’internazionalità. Le undici domande poste ai due maggiori protagonisti della strategia marketing e social arancioneroverde non hanno ancora ricevuto risposta, se non quella stizzita di uno di loro, probabilmente inconsapevole del fatto che, almeno teoricamente, i nostri obiettivi dovrebbero coincidere, e che ogni spunto, ancorché provocatorio, ha il solo ed unico scopo di far crescere la nostra squadra, sia dal punto di vista dei risultati che da quello della tifoseria. Ma se l’obiettivo è lo stesso, di sicuro non sembra coincidere la rotta da seguire al fine di raggiungerlo, ed allora non resta altro da fare che cercare una volta di più di smussare quelle apparenti incompatibilità tra il modo di fare sport negli States e la tradizione del calcio nostrano. L’incremento dei follower, la vendita delle maglie e del merchandising all’estero, le interazioni sui social media sono punti nel tabellone di questo marketing ultra spinto che attraverso il nome della città più bella del mondo cerca di conquistarsi fette di mercato alla quale difficilmente una squadra medio piccola può ambire. Comprensibilissimo ed aggiungerei, giusto. Ma non sarebbe proprio possibile ottenere risultati simili mantenendo comunque intatta l’identità di questa travagliata squadra di pallone, che negli ultimi 35 anni ne ha passate di ogni? Avrebbe venduto molto meno in Texas o nelle Filippine una divisa da gioco che avesse mantenuto i nostri colori sociali anziché quel nero opaco a stelle dorate? Avremmo perso clic dall’estero se invece di pubblicizzare e congratularsi con gli avversari di turno avessimo mostrato qualche immagine di campo in più?

Ma soprattutto, osservando esclusivamente ciò che stiamo vedendo (o non vedendo, se preferite) in campo,  esiste la possibilità di offrire un calcio internazionale senza dover per forza radere al suolo il tessuto italiano della nostra rosa? Quella stessa rosa che solamente pochi mesi fa ci ha regalato la gioia sportiva più grande dell’ultimo decennio, quel gruppo di ragazzi che si sono fatti amare non solo per ciò che hanno fatto vedere sul terreno di gioco, ma anche per il senso di passione, d’appartenenza e di rispetto verso una intera città. Come mai si è scelto di puntare solamente sui mercati esotici quando si sa per certo che diversi buoni calciatori italiani erano già praticamente pronti a vestire la casacca unionista? Siamo veneziani, abbiamo la cultura del mondo che scorre nelle nostre vene, non esiste problema alcuno nel vedere così tante bandiere rappresentate dal nostro leone. Ma nel calcio è spesso l’affiatamento a fare la differenza, è il gruppo unito che riesce a trasmettere l’importanza del risultato in questo paese, e scaricare Forte prima, Mazzocchi poi, sembrano mosse che ignorano totalmente il peso di tale dogma. In particolare quando tali decisioni non sembrano essere state completamente avallate dallo staff tecnico. Le dichiarazioni di Collauto e Zanetti proprio nell’ultima settimana ci hanno infatti creato parecchi dubbi sulla reale gestione tecnica del club; se entrambi dunque avrebbero tenuto il terzino campano, e se il ragazzo come ha detto sarebbe rimasto volentieri, chi ha decretato la sua partenza? E quindi, di naturale e logica conseguenza, di chi è la scelta di questo mercato così caratteristico, fatto anche di discreti giocatori, ma che sembra più una rappresentativa delle Nazioni Unite piuttosto che una rosa costruita da chi vuole salvarsi ad ogni costo? Siamo sicuri che il metodo delle statistiche e dei software sia quello adatto per costruire una squadra di serie a, quando l’anima, lo spirito, la fame agonistica, sono voci che probabilmente non si possono inserire nel sistema? Mazzocchi non era e non è Roberto Carlos, lo sappiamo, ed il suo girone d’andata non è stato dei migliori, bisogna dirlo. Ma chiunque respirasse l’aria dell’ambiente arancioneroverde sapeva benissimo il suo peso nello spogliatoio. Lui è solo il simbolo di quello che sembra si stia sfaldando in casa unionista, la punta dell’iceberg di cui ieri a Verona abbiamo iniziato ad intravvedere anche il resto.

In questa ottica ci piacerebbe anche conoscere la motivazione che ha portato allo sconvolgimento dell’organigramma delle giovanili, con l’ingresso di figure che al momento non sembrano aver portato quell’ordine e quella programmazione che ci si sarebbe aspettati, in particolare dal momento che sono subentrate ad uno staff che sembrava avere un grande affiatamento ed una discreta unità d’intenti. La stessa che pochi mesi fa ha costruito un gruppo capace di regalarci questo sogno.

Ultimo ma decisamente non ultimo, il rapporto che state costruendo con lo zoccolo duro dei tifosi locali, quegli stessi appassionati che non hanno mai lasciato questi colori nemmeno nei momenti più duri, e che adesso si sentono giustamente in diritto di chiedere quantomeno un minimo di rispetto e di attenzione. Non si chiede così tanto, in fondo basterebbe un sito che rispettasse la storia post fusione, un minimo di condivisione del mondo all’interno del club, un rapporto più diretto e sano con staff e giocatori che appaiono spesso come fossero in una bolla mediatica. Possiamo fare il pieno di sostenitori dall’estero, ma se i numeri sia in casa che in trasferta dovessero rimanere questi, ci sarebbe ben poco di cui andarne fieri. E non voglio nemmeno pensare a quanti ci ritroveremmo al Penzo in caso di malaugurata retrocessione.. E per migliorare la situazione esiste un unico modo, ascoltare il proprio popolo ed andare a riprenderselo. Perché sembra non interessarvi?

Abbiamo raggiunto un sogno con il Venezia dei veneziani. Lo sviluppo del brand, la crescita del fatturato, le aspirazioni ad una società di alto livello non hanno senso se si dimenticano le origini, le radici e la storia.