VeneziaMestre, l’unica cosa che conta.

02.04.2022 19:31 di Manuel Listuzzi   vedi letture
VeneziaMestre, l’unica cosa che conta.

Non è facile trovare le parole ormai. Ci siamo talmente abituati alle batoste quest’anno che sembra ormai la normalità perdere la partita più importante della stagione all’ultimo secondo. Come se in fondo in fondo, il destino ci dicesse chiaramente che questi livelli non sono cosa nostra. Ed è pure difficile dargli torto, quando ogni cosa, dalla presentazione delle maglie in poi, sembra essere stata fatta più per stupire, per mostrarsi diversi, piuttosto che per strappare ad ogni costo un altro anno di paradiso. La verità è che la squadra ha lottato, ha dato il massimo. Ma il massimo di questi ragazzi non è sufficiente. Quando da mesi non si riesce a mantenere per tutti gli effettivi di gioco la concentrazione, costantemente macchiata dall’errore di turno, anche quando probabilmente non lo avresti meritato. Quando provi a costruire trovando anche alcune soluzioni interessanti, ma sprecandole continuamente a causa di ciò che è fondamentale in questa categoria, ed a noi manca come il pane. La qualità. 

Quando il mercato di riparazione ha indebolito la squadra, facendole perdere carisma nello spogliatoio per sostituirlo con giocatori palesemente non pronti. Quando la parte americana della società passa più tempo sui social che a fianco dei propri ragazzi. Quando quelle 250 anime che si sono sobbarcate 700 km ed una decina di ore di viaggio applaudono la squadra e continuano a cantare per mezz’ora dopo il termine dell’incontro mentre fiumi di commenti di chi è rimasto a casa inondano le pagine di insulti ed arrendevolezza. Quando di fronte ti ritrovi una squadra che è un concentrato di convinzione, gruppo e fortuna. Allora si che sembra proprio finita.

E si può parlare del solito errore di Caldara, perfetto insieme a Ceccawall fino al fattaccio; si può applaudire la prova strepitosa del solito Ampadu ed il carattere di un ottimo Cuisance. Si può disquisire sull’ involuzione da Bologna in poi di un Okereke irriconoscibile. Si può disperarsi per L’idiozia di un Henry che oggi avrebbe fatto la differenza, di uno Johnsen volitivo, di una coppia di terzini che hanno spinto, con l’unico risultato di evidenziare le proprie carenze tecniche. Si può parlare di calcio, semplicemente di calcio. Oppure si può pretendere che questa città si svegli, si renda conto di non poter pretendere un miracolo quando siamo i primi a non crederci, ad accampare scuse per la nostra assenza, ad incolpare la società per la propria apatia o frustrazione. Per restare in serie a serve l’ambiente da serie a. E questo non ha nulla a che fare con le più che giustificate critiche. Ha a che fare con la passione, l’amore per questi colori, l’orgoglio di essere e sentirsi veneziani. Oggi la squadra ha dimostrato di avere un’anima, di non essere morta. Anche se esistesse una possibilità su un milione di salvarsi, io voglio giocarmela fino in fondo. E vorrei che se ne andassero a fanculo tutti quelli che sono venuti in questa città per il loro curriculum, per i propri follower, con l’unico scopo di sfruttare il nome della mia città. Ed insieme a loro chiunque non viva e non si senta parte di questo amore che si chiama “Unione”. L’unica cosa che conta.